Grosseto, 15 settembre 2012 - SONO GIORNI di nuovo difficili per Claudia Francardi, la vedova dell’appuntato Antonio Santarelli, il carabiniere aggredito da quattro giovanissimi partecipanti a un rave party nelle campagne soranesi, e che è morto dopo essere stato in coma per un anno. Per quell’omicidio, perché nel frattempo il reato è diventato tale, è finito in carcere Matteo Gorelli, per il quale però lunedì si schiuderanno le porte del carcere di via Saffi e si apriranno quelle della comunità di recupero Exodus di don Mario Mazzi. Una decisione, quella operata dai giudici, che ha gettato nello sconforto la vedova Santarelli.

«LA NOTIZIA della scarcerazione di Gorelli mi è caduta addosso come una tegola — ricorda senza mezzi termini la vedova Santarelli —. Una decisione che non riesco a comprendere, anche perché a questo punto pensavo che, se mai avessero preso questa decisione, che non riesco ancora a comprendere, avrebbero aspettato almeno l’udienza del 12 ottobre, dove si discuterà sia l’esame autoptico che la perizia psichiatrica, chiesta dai legali di Gorelli».

La vedova Santarelli non nasconde la sua amarezza. «Sono molto amareggiata — prosegue — mi sento tradita dalla giustizia, presa in giro, a questo punto mi aspetto che gli diano una pena non esemplare. I suoi legali opteranno per il rito abbreviato e da lì il passo verso una forte riduzione della pena potrebbe essere breve». Poi una considerazione finale. «Io sono credente, e Gorelli è un mio fratello, che però deve espiare la sua colpa, che forse avrebbe compreso meglio se insieme a sua madre fosse venuto a far visita ad Antonio». Intanti il caso approda anche in Parlamento. Ieri il senatore Achille Totaro (Pdl) ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. « Sono state rispettate — chiede appunto Totaro — tutte le procedure per la concessione degli arresti domiciliari a Matteo Gorelli, accusato di omicidio e tentato omicidio pluriaggravato per aver pestato a morte a Sorano l’appuntato dei carabinieri Antonio Santarelli? È una vergogna — aggiunge —. In Italia la certezza della pena e’ diventata un’utopia».

di ALBERTO CELATA