GRosseto, 20 ottobre 2010 - Cinque anni è la pena chiesta dal sostituto procuratore Alessandro Leopizzi per Mohamed Chaffai. Il ventottenne marocchino è accusato di tentato omicidio, per una coltellata alla gola che avrebbe rifilato a un connazionale di 33 anni, Mohammed Najan Mahhi, che viveva con lui e altri due marocchini in un podere vicino Arcille. Questioni legate forse alla gestione degli spazi nella casa, o altri 'futili motivi'. Ma proprio agire per 'futili motivi' è considerato dal codice penale un’aggravante. L’udienza si è tenuta ieri in Camera di Consiglio, e il giudice ha rinviato tutto al 16 novembre.

 

La Procura, contestando il tentato omicidio, ha ritenuto le aggravanti equivalenti alle attenuanti e ha chiesto la pena di cinque anni. La difesa, ovvero l’avvocato Roberto Baccheschi, ha chiesto di derubricare il capo di imputazione da tentato omicidio a lesioni aggravate, o in subordine di considerare le attenuanti prevalenti sulle aggravanti. Non c’era, cioè, l’intenzione di uccidere il connazionale: il gesto sarebbe nato nel corso di una lite senza la volontà di uccidere. Il colpo alla gola fu violento. E la vittima del fendente trascorse lunghe giornate in bilico, all’ospedale, prima di essere dichiarata fuori pericolo. Arrivato in Italia un anno prima con un regolare permesso di soggiorno, Chaffai era poi di fatto diventato un clandestino. Condizione che condivideva con il coinquilino, che invece si era trasferito in quel podere da poche settimane. Il litigio scoppiò la sera, intorno alle 18.30. Dopo quegli attimi di follia, Chaffai era fuggito.

 

I carabinieri lo presero il giorno successivo, quando dopo aver passato la notte nascondendosi nei boschi di Campagnatico, probabilmente senza allontanarsi mai da quel podere che condivideva con gli altri connazionali, il marocchino entrò in un bar di Sant’Antonio, per prendere un cornetto e un cappuccino. L’udienza del 16 novembre, che verterà attorno alle eventuali repliche di accuse e difesa e quindi si concentrerà sulla decisione del giudice, dovrà sciogliere il nodo fondamentale, attorno al quale ruota l’intero processo: un gesto istintivo, compiuto nell’irrazionalità di una lite furibonda, o il tentativo di togliere la vita all’uomo con il quale condivideva il tetto?