Nico, che facciamo? Anche chi ha ragione deve avere buonsenso

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L’ultima volta che lo abbiamo visto di viola vestito è stato il 22 ottobre, quando, dopo appena 8 minuti della gara con l’Inter, se ne usci malinconico dal campo lamentando un infortunio. Già allora un sottofondo tenue di fischi ne accompagnò la sostituzione, spia di un malessere che iniziava a serpeggiare. E oggi, oggi che da allora altri avvenimenti hanno contribuito a rendere più vasta l’eco quel dissenso (il fatto di non avere più giocato un solo minuto in campionato; le dichiarazioni di Barone e Italiano; l’addio al mondiale per un nuovo infortunio) la domanda che circola a Firenze è netta: che facciamo di Nico Gonzalez?

Una domanda che non ha una risposta semplice. Perché, è vero, fin qui Gonzalez più che un giocatore è sembrato un Godot del prato verde. Un personaggio atteso con impazienza da tutta la tifoseria, che in lui vedeva l’uomo della ripartenza, e che invece non è mai arrivato completamente, lasciando incompiuti progetti salvifici e speranze di grandeur. Con una sola differenza. Mentre Godot in tutta l’opera teatrale non lo si vede mai, Gonzalez a tratti sul palcoscenico del Franchi lo si è visto. E in quei momenti i lampi del suo calcio hanno illuminato lo stadio. Come all’inizio dello scorso campionato, quando si divertiva a fare impazzire i difensori che non lo prendevano mai, costringendoli al fallo. O come, in quella notte più recente d’agosto col Twente, quando ribadì l’importanza del suo calcio elettrico prima di diventare un desaparecido.

Sì, Godot o non Godot, ci sono assenze che lasciano vuoti che nessuna aggiunta è in grado di colmare. E alla Fiorentina asfittica di qualche settimana fa l’assenza di Gonzalez ha creato una faglia nel gioco d’attacco che, col tempo, si era fatto arido, involuto, quasi impotente. E’ vero: nel frattempo in quel ruolo le alternative sono arrivate. C’è Kouame, sorpresa di questo spezzone di campionato. C’è Ikone, che da oggetto misterioso sta diventando una certezza. Lo stesso, nella rosa viola ancora oggi Gonzalez appare come una delle pietre preziose più di valore, forse l’unico pronto su ogni palla a sfidare a duello il marcatore avversario. Qualcosa da non buttare via con leggerezza. Che in una Fiorentina che guarda a una risalita in campionato e a un viaggio il più lungo possibile in Europa, la sua mancanza potrebbe essere penalizzante. Un handicap che converrebbe evitare. E’ vero: Nico ha fatto pochissimo per intercettare indulgenza, dando un’idea complessiva di indolenza. Ma a 20 anni, dicono i Maneskin, si ha ancora il diritto di essere perdonati per gli sbagli commessi. E la bravura di un dirigente di calcio è anche quella di smussare gli angoli. Quella di recuperare talento non di disperderlo. Che le grandi imprese sportive , da sempre, si conquistano anche con la tolleranza e il buonsenso, mettendo da parte per convenienza anche il sacrosanto diritto di avere ragione.

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