Umberto Orsini, "Il privilegio? È raccontare la vita"

L'attore si racconta dopo il grande successo al Teatro della Pergola del classico contemporaneo 'Copenaghen', thriller scientifico-politico di Michael Frayn

Stagione Teatrale 2017 - 18 "Copenaghen" Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Lojod

Stagione Teatrale 2017 - 18 "Copenaghen" Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Lojod

Firenze, 12 gennaio 2019 - «Sarebbe stato un errore imperdonabile dar vita a una compagnia che porti il mio nome senza pensare all’opportunità di rimettere in scena uno spettacolo come ‘Copenaghen’. Riproporre dopo vent’anni il testo di Frayn che ci aveva visti interpreti con Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice ieri come oggi insieme, mi è sembrata una scelta quasi obbligata».

Umberto Orsini the day after il grande successo al Teatro della Pergola – fino a domani – del classico contemporaneo «Copenaghen», thriller scientifico-politico di Michael Frayn che racconta la vigilia della prima bomba atomica, mette con noi una specie di punto.

Orsini, cosa le ha fatto credere in questo testo libero da schemi?

«C’è il mistero dei numeri e di cosa vogliono raccontare nella realtà. Un enigma è la base e insieme c’è il racconto di una grande amicizia, la stima tra due personaggi che si confrontano. Aiutati da Margherete che fa da controcanto al furore incontenibile e interpretativo dei due».

Cosa la colpisce oggi del racconto di Frayn?

«L’attualità di trattare il problema di uno scienziato che ha il diritto morale di lavorare a un’arma che può rivelarsi un disastro per l’umanità. Che si fa domande che hanno risposte positive e negative. Uno spettacolo che non ha una scenografia invecchiabile perchè è il nulla nel quale è immerso».

Non ha una data anche se c’è?

«È teatro aperto e senza pareti in un nero, un vuoto, siamo immersi in una specie di oltre vita dove i personaggi si interrogano su cosa è avvenuto o sulla loro vita e hanno ancora lo spirito vitale per dirlo».

Frayn, autore inglese.

«E come molti di loro è straordinario. Hanno una pratica unica, sono nati nel mondo della parola».

Orsini com’è essere tanto aprezzati da anni e da ogni età?

«Dico trasporto: non entro appoggiandomi a questa stampella del piacere agli altri, cerco di andare per conto mio. Ma l’ammirazione si sente, inutile negarlo. In scena cerco di non muovermi, di avere naturalezza di assimilare lo sforzo di una battuta esercitandomi a non dirla con sforzo. E che si senta fino all’ultima fila senza urlare, e questa è la voce teatrale».

Tornare a Firenze.

«In un certo senso è come tornare a casa. Adesso c’è la Fondazione Zeffirelli che ho visitato con profonda commozione perchè ho avuto il privilegio di lavorare con Franco. Lì dentro c’è la stagione meravigliosa del teatro italiano vista attraverso l’opera di un grande artigiano dello spettacolo come Zeffirelli che ingiustamente questo Paese ha sottovalutato per decenni. L’Italia e la sua storia è stata segnata dalla storia di personaggi immensi come Visconte, Zeffirelli, Ronconi, Streheler, geni assoluti di statura internazionale. Visitare la Fondazione mi ha mosso qualcosa dentro che non dimenticherò. Chi ama lo spettacolo deve visitarla».

Lei è anche coraggioso produttore.

«Se sei un battitore libero o direttore di teatro nazionale hai limitazioni incredibili. Ho fatto quello che dovevo fare per conto mio, ma non è un’ azione coraggiosa. E’ difesa. Per non essere sul mercato preda di altri».

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