La commedia delle vanità, quattro ore incomprensibili

La recensione

'La commedia della vanità'

'La commedia della vanità'

Firenze, 22 febbraio 2020 - La durata non aveva spaventato il pubblico della prima di «La commedia delle vanità» della durata annunciata di circa quattro ore. Ha debuttato al teatro della Pergola, e resterà in cartellone fino a domenica 23 una lavoro di Elias Canetti con la regia di Claudio Longhi. Si tratta di una delle opere meno conosciute dell’autore premio Nobel con uno spiegamento di uomini e mezzi non indifferente.

Sul palco, 23 attori e due musicisti che suonano sotto il palcoscenico. Una mirabolante messa in scena circense, una macchina da guerra colorata, con il palco che si affaccia a metà platea, e incursioni di attori dai palchi e dalla platea. La storia di Canetti racconta come il governo totalitario del Paese, nel tentativo di contrastare l’individualismo, l’ossessione dell’«io» e dell’identità, decide di vietare la vanità e ogni mezzo per soddisfarla: si ordina quindi la distruzione di tutte le immagini, dalle pellicole cinematografiche agli specchi, ai ritratti e le foto di famiglia, per i trasgressori pena la morte. La massa accoglie con entusiasmo l’imposizione, e si susseguono personaggi che portano fotografie di parenti e di amici, specchi, ritratti in una piazza dove arde un grande rogo. Poi, dieci anni dopo l’emanazione dei decreti nascono piccoli commerci sotterranei di immagini e specchi.

E la malattia dell’«io» è talmente forte che il regime permette l’esistenza e la frequentazione di una sorta di «casa di cura» in cui è concesso specchiarsi. Detto ciò lo spettacolo è veramente imperscrutabile: gli attori, si vede quanto siano volenterosi e anche bravi, precisi, ma rappresesentano in scena qualcosa di incomprensibile a occhio e orecchio nudo.

In qualche modo sembrerebbero vittime di un meccanismo incredibile che non rende loro giustizia. DIfficile se non impossibile condividerne e seguirne i dialoghi, le loro parti, o semplicemente capirne ragionamenti che sembrano, dico sembrano, campati in aria. Una rappresentazione che non si capisce dove voglia andare a parare, addirittura con attori che nonostante siano 23, vestono il doppio ruolo e compresa una scena lesbo al terzo atto con due donne che trafficano a palla per una decina di minuti. Unica cosa che ricorre e che risponde a Canetti è la parola «specchi» ripetuta ossessivamentee. Se doveva essere una distopia, cioè una utopia negativa nello  stato futuro delle cose, l’esperimento è  riuscito. La platea sul finale era decimata.  

 

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