Firenze, 11 novembre 2022 - E' la storia di Momò, bambino che viene cresciuto da Madame Rosa in un appartamento al sesto piano di un palazzo nel quartiere multietnico di Belleville, a Parigi. La donna, un'anziana ebrea reduce da Auschwitz, si occupa di crescere i figli di prostitute che per legge non possono tenerli con sé. Momò sembra un caso a parte; è nato da una famiglia musulmana e sua madre, a differenza delle altre, non si presenta mai e intorno alla sua origine sembra che tutti intorno a lui mantengano il mistero. Silvio Orlando porta in scena al Teatro Puccini con delicatezza questo monologo con orchestra e ci si affeziona subito perchè a mano a mano che cresce, si rende conto che Madame Rosa sta invecchiando e che i sei piani da salire ogni giorno potrebbero risultarle fatali. Tratto dal romanzo “La vita davanti a sè” del francese Romain Gary, protagonista assoluto, non tradisce le aspettative e ci conduce dentro le pagine del libro con la leggerezza e l’ironia di Momò diventando, con vera bravura, esattamente quel bambino che vive un dramma in un mondo piccolo e claustrofobico ma alla ricerca di amore spiegato alla sensibilità di un autore come Gary che ha anticipato senza facili ideologie e sbrigative soluzioni, il tema dei temi contemporaneo la convivenza tra culture religioni e stili di vita diversi. Il mondo ci appare improvvisamente piccolo claustrofobico in deficit di ossigeno I flussi migratori si innestano su una crisi economica che soprattutto in Europa sembra diventata strutturale creando nuove e antiche paure soprattutto nei ceti popolari, i meno garantiti. Se questo è il quadro quale funzione può e deve avere il teatro. La storia ha un epilogo triste e prevedibile in un angolo ebraico con tanto di candelabro a sette braccia che infine Silvio Orlando accende per un messaggio universale di pace: date amore e riceverete amore. Un'ora e poco più di poesia.