Glauco Mari, un leone in scena. E il pubblico lo osanna

Alla Pergola applausi scroscianti per Re Lear

Una foto di scena

Una foto di scena

Firenze, 18 gennaio 2020 - Il leone è in scena. E ci sta proprio bene: diciamo che ci deve essere. Glauco Mauri ha dato prova per l’ennesima volta della sua magistrale bravura, della sua immensa sapienza teatrale di istrione umano, dolce, intelligente e della sua capacità di arivare dalla testa al cuore degli spettatori con questa (sua) terza rappresentazione del «Re Lear» di Shakespeare. Uno spettacolo che ha debuttato alla Pergola – dove resterà fino a domenica pomeriggio alle 15,45 – in una versione che lo ha visto con l’inseparabile Roberto Sturno, per la regia di Andrea Baracco.

In scena la storia di padri indegni e figli inetti, padri indegni che hanno generato figli inetti, madri assenti, estromesse dal dramma, parafrasando Amleto, qui la fragilità è tutta e solo maschile. Dove nessuno dei personaggi è in grado di regnare, di assumersi l’onere del potere, dove nessuno sembra avere la statura adatta, e dove nessuna testa ha la dimensione giusta per la corona, chi per eccesso, vedi Lear, chi per difetto vedi tutti gli altri. Solo giganti o nani in questo universo dipinto da Shakespeare.

In scena un bel gruppo di attori: Linda Gennari, Aurora Peres, Emilia Scarpati Fanetti, Francesco Sferrazza Papa, Aleph Viola, Dario Cantarelli, Enzo Curcurù, Laurence Mazzoni, l’ottimo Paolo Lorimer, Francesco Martucci che si muovono nelle belle scene di e nei costumi firmati Marta Crisolini Malatesta.

Mauri, i capelli candidi le movenze incerte per anni di vecchiezza che portano all’indecisione e alla titubanza. I tormenti di Lear, di Gloucester, i turbamenti di Edgar, i desideri di Edmund, i tremori e i terrori delle tre figlie del Re, Cordelia, Goneril e Regan, attraggono da sempre perché la complessità e in alcuni casi la violenza che produce il conflitto generazionale è per forza di cose universale. Una rappresentazione scenica che non ha cedimenti, che non ha punti oscuri: difficile trovare uno spettacolo così corale e così tanto omogeneo nella coproduzione della Compagnia Mauri Sturno e Fondazione Teatro della Toscana. Un Re Lear da manuale con un pubblico che ha tributato a Mauri più di una standing ovation sul finale.

Il messaggio che passa dal grande vecchio del teatro è questo: mai smesso di credere che bisogna sempre mettersi in discussione, accettare il rischio pur di far sbocciare idee nuove. Un messaggio che è arrivato, forte e chiaro. Applausi scroscianti.

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