Il dramma umano secondo Di Fiore

Alla Fondazione Zeffirelli il monologo "Verso Dante" in prima nazionale. La recensione

Luigi Di Fiore (foto Giuseppe Cabras/New Press Photo)

Luigi Di Fiore (foto Giuseppe Cabras/New Press Photo)

di TITTI GIULIANI FOTI

Firenze, 8 dicembre 2019 - C’è un uomo disperato, che vive tra sacchi dell’immondizia, panni sdruciti, le scarpe tenute con lo scotch. Che vaga, si trascina nella civiltà perduta, o nel futuro: dove tutto e niente è lo stesso. Che grida: siamo contenitori di una cultura lasciata andare, che grida il suo dolore sul suo sapere: serve a qualcosa la conoscenza? O è immondizia, roba da buttare via, da disfarsene? Troppe domande per rassegnarsi dentro qualche recinto.

Ha debuttato l’altra sera in prima assoluta nazionale nella Sala della Musica della Fondazione Zeffirelli di Firenze "Verso Dante", il nuovo spettacolo teatrale dell’attore Luigi Di Fiore per la regia di Tommaso Agnese (i due sono anche autori del testo). Protagonista di questo monologo lungo circa un’ora, Di Fiore, appunto, un curriculum lungo così, iniziato proprio a Firenze alla Bottega di Vittorio Gassman e qui scelto da Pippo Zeffirelli, assistente alla regia di James Ivory per "Camera con vista", per un ruolo nel film premio Oscar. Il palcoscenico della rappresentazione è uno dei luoghi più evocativi di Firenze, reso possibile grazie alla lungimiranza del presidente della Fondazione, lo stesso Pippo Zeffirelli, che per la prima volta ha aperto alla prosa di qualità.

Una scena ricca, evocativa, tra grandi disegni, sacchi plumbei, funi, rimasugli di vita, scarpe, cibo avariato: forse una discarica, dove il protagonista vive o è costretto a vivere per scappare dalla realtà. Una scena anche scarna, dove la memoria è la confessione dell’uomo che si scontra con se stesso, con gli altri e con la società, rivendicando l’importanza della cultura. Di Fiore affida l’indagine a un uomo senza nome, che, vittima della sua coscienza, riesce a rivelare le dinamiche contorte e nascoste dell’anima. Che attraverso la poesia individua le origini del male nella storia, la falsità che si cela nelle azioni degli uomini e arriva a prevedere, come in un presagio funesto, gli orrori che verranno.

L’Uomo non ha nome, è chiuso nella sua solitudine e urla il suo abbandono, l’essere solo, vittima del nostro tempo: è lui il risultato di una cultura dimenticata. Col suo lavoro Di Fiore tocca un nervo scoperto della vita: «Verso Dante» è un bel testo corposo, che ci ricorda quanto in tutti noi ci sia un universo fatto di “spazzatura“ di cui, paradossalmente, abbiamo bisogno per vivere. Ma anche per riuscire a riflettere su paure di cui ci vergogniamo. Di Fiore che lo ha scritto, assumendosi la responsabilità del drammaturgo, lo ha portato alla luce e messo davanti agli occhi di noi, suoi contemporanei.

Il programma scrive per lui la parola “cantastorie“: io non l’ho proprio visto questo cantastorie. Piuttosto, partendo dai classici greci, poi citando Dante in modo originale, ho visto rappresentare la disperazione, il dramma umano sotto forma di scelta tra due livelli dell’esistenza: l’inferno della vita e il paradiso del sapere. Un monito per qualsiasi essere umano per poter realizzare ciò che è in potenza. Le parole che fabbrichiamo come un muro – ci fa capire Di Fiore– possono essere distrutte dalla nostra stessa coscienza. E dunque il messaggio: nella apparente umiliazione ritrovare capacità indistruttibili e inalienabili. Alla fine applausi sentiti e calorosi per uno spettacolo da vedere. Anche in altri teatri.

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