La Chiesa riscopra le sue origini: è la sfida del Papa

Deve tornare a essere "una Chiesa in pellegrinaggio"

Papa Francesco

Papa Francesco

Esattamente come Francesco d’Assisi, il Santo a cui si ispira al punto da averne assunto il nome, anche papa Francesco ha compiuto il suo gesto più rivoluzionario mettendo o rimettendo la povertà al centro del discorso cristiano. Che questo sia un gesto sconvolgente e profetico lo aveva ben compreso Dante, il quale nel canto dedicato a Francesco, l’XI del Paradiso, in due versi magnifici descrive una scena inaudita: "sì che, dove Maria rimase giuso ella con Cristo pianse in su la croce". Cristo sale sulla croce con Povertà. Tutto ha lasciato ai piedi della croce. Perfino la speranza. E perfino sua Madre. Sulla croce sale insieme con una figura che crediamo di conoscere anche troppo bene ma di cui a ben vedere non sappiamo nulla: la povertà. La povertà così come l’hanno concepita Francesco d’Assisi, Dante, papa Francesco.

Se io dovessi provare a dire in che cosa consista questa povertà, non saprei farlo se non ricorrendo alla potente immagine dantesca della povertà come compagna di Cristo sulla croce. È troppo applicare questa immagine all’esperienza che, prima o poi, tocca a chiunque? In fondo è ciò che Francesco invita a fare tutti noi, credenti e non credenti. Affinché possiamo renderci conto che la povertà è ciò che resta nel momento in cui saliamo sulla nostra croce, piccola o grande che sia, e ci scopriamo nudi, privati di tutto. Senza più le certezze in cui confidavamo. Senza la presunzione di essere migliori degli altri. Senza più niente di niente. Ma magari con un po’ più di pazienza e di sopportazione. Un po’ più di tolleranza per gli altri. Un po’ più d’amore.

Secondo papa Francesco c’è qualcosa di necessario in una prova del genere. Ed è una necessità che riguarda la Chiesa prima ancora che i singoli individui. Perché è la Chiesa a doversi spogliare di ogni fasto inutile e di tutto quanto essa ha di superfluo. E tornare a essere "una Chiesa in pellegrinaggio". Cioè una Chiesa che porta con sé, nel suo viaggio su questa terra, solo lo stretto necessario. E quindi una Chiesa consapevole di essere strumento di salvezza, non di potere.

Priva di questa consapevolezza, ridotta a essere una potenza mondana fra le altre potenze di questo mondo, magari in competizione con quelle, la Chiesa tradisce non solo i fedeli, ma se stessa. È durissimo l’ammonimento che papa Francesco riserva alla Chiesa: "Il male più grande della Chiesa è la mondanità spirituale". Mondanità spirituale significa che il mondo dello spirito, che è fede speranza carità, si è fatto spirito del mondo, si è fatto ambizione, protervia, volontà di dominio. Di una Chiesa del genere si dovrebbe dire che è meglio perderla che trovarla. Anzi, che si è irrimediabilmente perduta.

Papa Francesco non distoglie lo sguardo da prospettive che mettono i brividi al solo pensarci. Ma proprio questa è la ragione per cui le sue parole riescono a essere così semplici e così convincenti. Essendosi disfatto lui per primo di tutti gli orpelli e di tutti i fronzoli, ha il dono di arrivare con estrema facilità al cuore delle cose. Le sue non sono, come pure qualcuno ha detto in riferimento a una recente apparizione televisiva, "lezioncine di catechismo". O magari lo sono anche, ma lo sono nel senso più autentico del termine. Cioè nel senso di un insegnamento che tratta questioni essenziali in modo che tutti possano capire. Saranno pure "lezioncine di catechismo", ma io dico: ben vengano!