Giorgio l'anticlericale: il potere del pensiero muove il mondo

La Pira, fedelissimo al magistero papale, e amico dei frati domenicani, era - nel senso buono del termine - un anticlericale

Giorgio La Pira

Giorgio La Pira

Nel 1968, se non fosse venuto a cercarmi, durante l’occupazione studentesca del liceo artistico in piazza San Marco, Giorgio La Pira non l’avrei mai conosciuto. Aveva 46 anni più di me, ed era un personaggio di prima grandezza della politica nazionale e, come sindaco di Firenze, di grande prestigio internazionale. Venne a cercarmi perché venne a sapere che al liceo artistico c’era un gruppo di giovani cattolici da me guidati, che non facevano parte di nessun gruppo o gruppetto dell’inquieto mondo cattolico fiorentino. In altre parole, eravamo spuntati fuori dagli ambienti più popolari come cristiani di ispirazione democratica, senza alcun legame diretto con persone o partiti. Avvisato del numero sempre più crescente di giovani che aderivano a questi ideali, da un insegnante del liceo suo amico, il pittore Renzo Crivelli, venne a conoscerci e si stabilì subito una forte simpatia tra me e lui. A differenza dei grandi uomini politici, La Pira era uno di strada: camminando per le vie di Firenze, si fermava a parlare con chiunque. Soprattutto con gente del popolo. Per quasi dieci anni l’ho frequentato quasi quotidianamente, fino al giorno della sua morte, il 5 novembre 1977.

La Pira, nel giugno 1976, grazie ai giovani democristiani da me guidati e al suo grande amico Amintore Fanfani e al segretario della Dc, Benigno Zaccagnini, fu di nuovo eletto in Parlamento. Fu il compimento del processo politico iniziato nel 1968. Dopo aver lasciato la carica di sindaco, egli si trovò, per colpa anche dei cosiddetti lapiriani, in un tourbillon che sembrava la tomba dell’esperienza di La Pira nella Dc. Alcuni lapiriani si erano avvicinati ai marxisti e ai comunisti, come il consigliere comunale Dc e professore di filosofia, Danilo Zolo, di cui La Pira mi parlava come di ’uno che aveva sbagliato tutto’, diventando comunista. Anche nel 1976 la scelta di un altro sedicente lapiriano, Mario Gozzini, di schierarsi nelle liste del Pci, lo turbò così profondamente, che accettò la nostra proposta di candidarsi per la Dc alla Camera e al Senato. La Pira era l’esatto opposto di un santo ingenuo. Egli conosceva così bene il mondo che, quando si girava per le strade di Firenze, qualcuno lo fermava e gli chiedeva come faceva a essere così cattolico pur sapendo degli scandali della Chiesa rinascimentale, quando i Papi avevano mogli e figli. La Pira, sorridendo rispondeva sempre così: “A Messina, quando studiavo alle superiori, lavoravo con un mio amico, Salvatore Quasimodo (futuro premio Nobel per la letteratura nel 1959) da mio zio Occhipinti, che gestiva un grande magazzino. Mio zio ci diceva: ’Cari ragazzi, diffidate sempre dei massoni e dei preti’. E mio zio era massone“.

Giorgio La Pira, fedelissimo al magistero papale, e amico dei frati domenicani, era - nel senso buono del termine - un anticlericale. Quando indisse i convegni per la pace nel Mediterraneo, gli domandai quale ruolo poteva avere Firenze, e lui mi rispose che, insieme a Gerusalemme, a Roma e ad Atene, Firenze era una capitale dell’umanità, ma che per lanciare un messaggio all’umanità bisognava ispirarsi al principio di Archimede, quando diceva: “Datemi un punto e solleverò il mondo“. In questo pensiero, va compresa l’azione di La Pira per la pace nel Mediterraneo. Non è il luogo che determina una politica, ma è la persona che in quel luogo mette in moto le leve del pensiero che può sollevare l’umanità.