E' necessario parlare di pace quando soffiano venti di guerra

Il pensiero corre spontaneo al mai dimenticato magistero di Giorgio La Pira, ai suoi due turni di sindaco del 1951-57 e del 1961-66

Giorgio La Pira

Giorgio La Pira

Firenze, 26 febbraio 2022 - Un'attesa incuriosita, con una certa commozione e qualche punta di critica, sta circondando l’evento fiorentino, per le conclusioni a cui giungeranno i colloqui della folta rappresentanza dei sindaci delle città del Mediterraneo e dei vescovi della Chiesa cattolica per un incontro – che di questi tempi può sembrare ottimistico ma al limite provocatorio – “Mediterraneo frontiera di pace”.

La presenza dei vescovi non deve dar adito a malintesi: l’incontro ha un’ispirazione dichiaratamente “laica” nel senso più alto del termine, quindi ispirata al rispetto reciproco e all’incontro. Ad esso saranno presenti anche rappresentanti delle comunità ebraica e musulmana e forse anche di qualche altra religione. Resta tuttavia il fatto che Firenze è stata e resta la culla dell’umanesimo cristiano: e qui sta il senso profondo del momento clou dell’incontro, l’arrivo in città di papa Francesco al quale domenica sarà presentato solennemente il documento programmatico di esso, la “Carta di Firenze”.

Una Carta per un’auspicata frontiera di pace, in un momento nel quale soffiano di nuovo, forti come forse mai dopo la fine della guerra fredda, i venti di guerra: da uno scacchiere sudorientale del nostro vecchio caro mare nostrum letteralmente irto di missili a testata nucleare della Nato alla flotta militare russa alla fonda nei porti della Siria. D’altronde, è proprio quando vi sia pericolo di guerra che diventa urgente parlar seriamente di pace.

Dici Mediterraneo, dici Firenze, dici Pace: e il pensiero corre spontaneo al mai dimenticato magistero di Giorgio La Pira, ai suoi due turni di sindaco del 1951-57 e del 1961-66, ai suoi 5 “Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana” dal ‘52 al ‘56 e ai 6 “Colloqui mediterranei” dal ‘58 al ’64. Chi ha sentito parlare, in una di quelle occasioni, il grande Léopold Sédar Senghor nel Salone dei Cinquecento ne ha riportato un’emozione di quelle che non si dimenticano più, per tutta la vita. E verrebbe da osservare che non a caso, nel team dei “consiglieri del sindaco” scelti per preparare l’evento del 23-27, è presente il professor Mario Primicerio, vicinissimo a La Pira in quegli anni.

D’altronde, lontano da qualunque retorica pacifista ad ogni costo, rimane il fatto che attorno al Mediterraneo il clima degli Anni Cinquanta-Sessanta, con tutte le sue difficoltà e i suoi rischi – la crisi di Suez, la fibrillazione dell’indipendenza algerina, la questione israelo-palestinese, l’eco degli eventi ungheresi berlinesi e cubani, le polemiche sul Vaticano II -, era pur sempre e di gran lunga meno drammatico di oggi: e il contesto socioeconomico d’un’Europa in crescente prosperità invitava all’ottimismo. Erano i tempi di Be my baby e della Seicento. Eravamo tutti belli e nemmeno più granché poveri. C’era lavoro e ci sentivamo tutti più buoni.

Oggi il clima è diverso. Settanta-sessant’anni fa il Mediterraneo, pur fra i molti problemi che turbavano alcuni fra i suoi litorali, era abbastanza lontano dalle “linee di fuoco”: oggi, dalla Sicilia alla Toscana al Veneto le basi USA-NATO in costante allerta, per quanto stiano ben attente a non farsi notare, sono ben presenti: e né il Caucaso, né il Baltico, sono lontani. Inoltre papa Francesco non mancherà senza dubbio di ricordarci che il Mediterraneo, mare di pace, lo è anche di Pace Eterna: un immenso cimitero di vittime di naufragi tutti fatali e che sarebbero stati tutti evitabili. Certo, si può e si deve essere ottimisti. Solo che è dannatamente dura. C’è l’inflazione, manca il lavoro e noi ci siamo tutti maledettamente incarogniti.