La catena di affetti

L'editoriale del direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis

Firenze, 5 marzo 2017 - Come mirabilmente spiegava il professor Sassaroli all’architetto Melandri «ci sono catene di affetti che né io né lei possiamo spezzare». Ed è proprio l’esistenza di una catena di affetti tra l’entourage di Matteo Renzi e un mondo oscuro di personaggi da commedia all’italiana più che da giallo di provincia, ciò che colpisce dall’emergere giorno dopo giorno dello scandalo Consip e dal racconto di un’Italia che di fronte alla solita montagna di soldi pubblici cerca di arraffare, si arrangia, sgomita, raccomanda, si fa raccomandare, millanta. Tutto deve essere ancora confermato ma stando alle ipotesi dell’accusa un babbo che con il figlio presidente del consiglio telefona, cerca di combinare affari, incontri, chiede favori, ne promette altri, prega di non essere contattato per telefono, non si era mai visto.

Per Tiziano Renzi non è valsa l’antica sapienza gesuitica secondo cui nisi caste saltem caute (se non puoi essere casto sii almeno cauto), un comportamento che ricorda quello di Pierluigi Boschi che accetta la nomina a vicepresidente di BancaEtruria due mesi dopo che la figlia è diventata ministro, e che tanti grattacapi ha prodotto poi al governo e al Pd. Ecco, di fronte a questo «mondo oscuro» composto da suoi familiari, collaboratori strettissimi, amici di una vita, la reazione di Matteo Renzi è stata «i giudici facciano il loro lavoro», il tutto condito con la solita renzianissima battuta a effetto («se mio padre è colpevole pena doppia»). Sinceramente un po’ poco. Molto poco. Troppo poco. Perché il quadro che scaturisce dalle testimonianze dell’inchiesta Consip è quello di un piccolo comitato che tenta di combinare affari e fare pressioni sfruttando (magari a sua insaputa) il nome Renzi e il fatto che Matteo in quel momento fosse l’uomo più potente del Paese. E’ la figura politica di Matteo Renzi premier che viene coinvolta, che ha una evidente rilevanza fattuale, ed è quindi il Matteo Renzi politico che adesso deve dare una spiegazione «vera», politica, di tutto questo intreccio di conoscenze, interessi, persone che gravitavano intorno a lui e che agivano se non per suo conto per lo meno spendendo o tentando di spendere il suo nome. Trincerarsi dietro un autogarantismo di maniera significa mostrare l’impossibilità di fornire risposte esaurienti, e in qualche modo ammettere le proprie difficoltà. Dopo lo stop del 4 dicembre il suo percorso politico non consente un altro passaggio a vuoto. Ha voluto rottamare tutti, se intende proseguire il suo cammino stavolta deve rottamare un po’ di se stesso e di quelli che gli sono intorno. Se può e ci riesce.

 

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