I fiori portati ai vivi. La Primavera della poesia

Nella giornata mondiale delle muse le voci di Franci, Aprile, Romano, Quattrone, Roda e Gasparini

Firenze, 21 marzo 2021 - Accompagnata da un freddo amplificato dal vento, la Primavera è arrivata. Eppure questo vento, nella Giornata mondiale della poesia, che coincide con il 21 marzo, bene descrive la preparazione alla sospirata luce che fa fiorire le cose e che caratterizza le opere dei poeti lungo il 2020 e nella prima parte di questo 2021. Alessandro Franci, con 'La fragilità dei pesi' (Sef), ha raggiunto un punto molto alto di espressività poetica. In quest'ultima opera, che presenta anche un commento critico di Caterina Verbaro confluiscono con chiarezza i percorsi sperimentati dall'autore, soprattutto con l'editrice Gazebo, nella versificazione che sembra porsi fuori dal contesto delle piccole cose – la casa, la soffitta, la strada, la geografia di ogni giorno - per osservare cose accade in esse lungo l'andare degli anni. Lo spazio abituale, compreso quello dell'accumulo e dell'abbandono (le soffitte, i ripostigli), diventa un po' specchio di quello che ci si porta dentro. Non a caso le sezioni del libro sono tre: nella prima “gli interni”, nella seconda gli “esterni”, la terza un'appendice. Magrelli anni fa aveva descritto queste radiografie e filigrane. Franci allarga lo sguardo al quartiere, alla città, per cogliere le distanze, i pezzi della pena, i vasi comunicanti di rimorsi e di rimpianti, le domande che restano aperte tra le attese che uno ha, ogni volta che si ritorna in un luogo, si sperimenta la distanza e si coglie l'eco nel tempo. Quale segreto racchiudono un nome ritrovato per strada, su una targa o in quella che Franci chiama l'isola dei morti, o i propri frammenti di vita? Sono domande che forse non vanno nemmeno risolte con una risposta esaustiva, una sorta di formula. Le cose incompiute si lasciano agli altri perché possa fiorire qualcosa, come accade agli spazi che sembrano avere una vita propria, quasi che una mano invisibile li allestisse per portarli a una trasformazione e a un compimento. C'è però la velleità di voler fare conto “su un ordine ripristinabile” e al tempo stesso, seguendo l'istinto, ci si aggira nei luoghi consueti “con la ferocia di predatori disorientati”. Franci coglie la fragilità di ogni storia e sente l'ansia di “riordinare”, forse perché così potrebbe compiersi una sorta di redenzione della vita, anzi il “riscatto di una vita scomparsa nel nulla”. Dopo la ricerca – compiuta per orientarsi tra ciò che alterato e disordinato nella propria vita, tra le cose che sembravano omesse ma hanno continuato a scavare dentro di noi o nella geografia in cui uno è collocato – arrivano la resa e il ritorno del flusso salvifico della vita che è sempre un po' fuori di sé: “I colori sono al loro posto/ usciamo finalmente allo scoperto/ con le sole nostre provviste”. E' la presenza degli altri quella in cui riflettersi davvero. Guglielmo Aprile ('Farsi amica la notte,' con Ladolfi, e 'Teatro d'ombre' con ed, Nulladie,), Nicola Romano ('Tra un niente e una menzogna', Passigli), Alessandro Quattrone ('La rondine presente', Passigli) in modi (e stili) diversi assumono in alcune loro poesie il punto di vista delle stelle verso gli esseri umani (per Quattrone “— discrete, eleganti — assistono ai nostri tentativi di esistere in un modo o nell'altro”) e degli scomparsi che di tanto in tanto “portano fiori ai vivi” (Romano). Evidente in tutti e tre la domanda di vita sul dopo e sull'oltre che è scritta nella filigrana di ogni persona. Aprile, che all'inizio sembra presentare tratti caustici, risolve con una dolce ironia il suo aggirarsi nella città che sembra abbandonata: “Non era vero niente./ Non siamo noi che viviamo ma i nostri/ doppi, i nostri gemelli/ di riserva, che solo esteriormente/ ci somigliano, e a un occhio poco attento.... la trama che sospendono i piccioni/ nel vuoto, da un cornicione all'opposto,/ la parola che la mano del cielo/ scrive e già in pochi minuti cancella,/ che non significa niente e bellissima”. Nicola Romano in Tra un niente e una menzogna (Passigli) coglie il ministero degli assenti tra le pieghe di quei fatti che per tanti anni ha descritto come cronista e ci riesce con un'efficacia davvero rara, piena di un'umanità e di compassione che non cedono mai all'eccesso di dolcezza. Eppure “gagliardi e volitivi/ stanno con noi i morti/ piccoli e grandi elfi/ accanto ai nostri passi:/ li trovi tra i tornelli della Metro/ o a scaldare le mani ai mendicanti/ spingono sassi dentro la corrente/ e raccontano storie mai sentite/ coi visi ancora scuri di tramonto/ Stanno un po' in città/ e un po' in brughiera/ in fila ai varchi senza telepass/ fanno visita ai vivi con i fiori/ e pregano per noi (coscienze amare)./ Li trovi dentro/ ai sorsi d'acqua pura/ nel tepore dei lumi d'ogni casa/ e spargono per campi/ tutto il senno/ di chi ha già messo piede/ nell'Eterno”. Una poesia bellissima, questa di Romano, straordinaria, con un ribaltamento dei punti di vista, che dà spessore e amore alla fragile vita di ciascuno. E' una condizione oggettiva che Aldo Roda in 'Crinali d'attesa (2017-2019)', ed. Gazebo, descrive in altri termini: “Quando osservi te stesso/ (internamente)/ trovi solo immagini./ Avvenimenti trascorsi/ lasciati/ al fluire del tempo.... / L'io riflesso/ in specchi”, tanto più quando “un passo dopo l'altro/ giunge la stagione/ del ricordo”. A questo riguardo, anche Alessandro Quattrone ne 'La rondine presente' (Passigli), cerca indulgenza verso quello che nell'universo è per le stelle “il nostro impercettibile brillio”. Accade qualcosa di inaspettato, di speculare a quanto declinato da Romano: “Un fantasma – scrive - è necessario.../ quando alloggiamo nella solitudine/ come in un vecchio albergo/ e ce ne stiamo alla finestra per distrarci/.... un fantasma/ spesso è necessario/ più di una persona in carne e ossa./ I fantasmi che ci fanno compagnia/ nelle giornate spente/ ci parlano con discreta letizia/ di un passato ferito ma ancora palpitante./ Radiosi, sempre uguali,/ ci intrattengono,/ ci preservano dal male, ci proteggono/ da inganni, sorprese e spaesamenti./ Non ci chiedono niente,/ ci sorridono/ raccontandoci il passato/ per non farlo morire,/ per non farci morire”. A volte i passi ci portano in luoghi che diano conforto e possano fermare il tempo, almeno per un poco, come scrive Gianni Gasparini in 'Nòstos' (Nomos edizioni): “Mi fermo in una radura/ lascio che la pioggia/ m'imbeva come spugna/ l'ascolto scendere/ su ogni millimetro di pelle/ quasi fosse una lezione/ da imparare a memoria/ per ripeterla quando cammino/ alla ricerca del posto/ che ancora non conosco”.  Michele Brancale 

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