Dacia Maraini: "Che dolore l’inaspettato silenzio delle città"

Intervista a Dacia Maraini che si confronta con la pandemia. "Firenze inquietante, come un sogno cupo e un quadro di De Chirico"

Dacia Maraini, nata a Fiesole, è scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga

Dacia Maraini, nata a Fiesole, è scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga

Firenze, 31 marzo 2020 - «Davanti a un evento tanto doloroso e inaspettato come una pandemia che si può fare? Me lo sono domandata a lungo e la prima cosa, secondo me, è guardarlo bene in faccia questo nemico. Perchè fuggire, voltarsi dall’altra parte non serve a niente. Bisogna capire quali sono le sue capacità di muoversi, di fare del male. E per questo è necesario essere informati e affidarsi agli esperti". Dacia Maraini, la più importante scrittrice italiana, riflette e cerca di capire qualcosa che va oltre. Che per paradosso potrebbe anche ridare la voglia di stare nel mondo, di ascoltare, di fare tesoro dell’intelligenza degli altri. Signora Maraini, ha visto le fotografie di Firenze, la città dove è nata e ha studiato: che effetto le fa? "Una Firenze un poco inquietante, che io non ricordo di aver mai visto così. Come un sogno cupo in cui persone sono sparite e sono rimasti i monumenti. Come in un quadro di De Chirico". La lettura aiuta a sopravvivere in questa situazione di emergenza? "La lettura aiuta a far viaggiare l’immaginazione. Si vola con la mente fuori da una casa che ci sta stretta, verso mondi lontani nel tempo e nello spazio. L’ideale per chi soffre della segregazione necessaria di questi giorni di coronavirus. Pensa che libertà può dare un libro a chi è costretto in casa in uno spazio limitato. E’ una libertà a portata di mano per tutti noi". Come racconterebbe, come definirebbe questo momento? "E’ inutile nasconderlo, sono tempi di dolore e di strazio, ma anche di riflessione. Dobbiamo ripensare al futuro: la malattia ci fa capire che camminavamo troppo in fretta su una strada che porta al disastro. Mi pare chiaro che ci sta dicendo: cambiate sistema. Il che vuol dire: meno automobili, meno aerei, meno cemento, meno frenesia, meno feticismo tecnologico. Forse in questo momento ci rendiamo conto per una volta che non siamo onnipotenti". Ha notato che i tabaccai sono aperti e le librerie sono chiuse? "Mi sono sorpresa anch’io per questa discriminazione. I libri sono piu necessari del fumo, anzi, necessari come il pane. E soprattutto sono meno dannosi e anzi, sono una misura terapeutica. Come non capire che la lettura ha la capacità di farci volare fuori dalla finestra e portarci in nuove case dove si mangia quando si soffre la fame o si ragiona di libertà quando ci viene negata?". Che sensazione le dà questa pace coatta? "Da una parte mi piace questo inaspettato silenzio delle città, le strade vuote, l’aria pulita. Ma vedendo le immagini dei tanti che soffrono per mancanza di ossigeno nei letti degli ospedale, penso solo a una cosa: che dobbiamo uscirne al piu presto". Ci sono state molte citazioni di autori riguardo questa pandemia, da Manzoni a Camus e Saramago. "Ma nessuno ha pensato di ricordare Thomas Mann e il suo struggente romanzo Morte a Venezia. Il colera stava invadendo la città ma nessuno ci faceva caso. Protagonista assoluto Gustav Aschenbach, un famoso scrittore che, spinto dalla ricerca della bellezza assoluta consuma il suo spirito nella consapevolezza che l’uomo è un essere imperfetto e limitatato. E’ questa la verità e dovremmo prenderne atto. Siamo così: imperfetti e limitati". Qual è il suo modo per non odiare questa quarantena? "Non mi piace odiare. Penso che l’odio avveleni soprattutto chi lo prova. Mi piace pensare che nel disastro nascono anche delle belle iniziative, viene fuori la solidarietà, il senso della comunità, la creatività". Si riferisce anche ai concerti sui balconi? "Penso che sia una bella cosa. Anche di fronte a casa mia dei ragazzi nel pomeriggio dei giorni di festa cantano e ballano e tutta la strada li applaude. Ecco, queste sono le cose buone che nascono dall’orrore di una pandemia". © RIPRODUZIONE RISERVATA

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