Firenze, 15 dicembre 2012 - “La principale, la più santa sede degli dei (...) è presso il frassino Yggdrasil; là gli dei ogni giorno tengono consiglio (...). Il frassino è il più imponente e il migliore di tutti gli alberi: i suoi rami si stendono su tutto il mondo e coprono il cielo” (Edda di Snorri, a cura di G. Chiesa Isnardi, Rusconi). Con queste parole, scritte intorno al 1220, lo scrittore islandese Snorri Sturluson ricordava e descriveva l'Yggdrasil (letteralmente “il Frassino del Mondo”), cioè l’asse cosmico attorno al quale si ordina l’universo nella concezione germanico-scandinava del cosmo.

Snorri apparteneva alla discendenza di quei coloni norvegesi che si erano trasferiti nel corso dei secoli precedenti in Islanda e che, pur convertiti al cristianesimo, in un’isola così remota meglio avevano potuto conservare memoria delle loro tradizioni originarie, cominciando a raccoglierle in forma scritta ai primi del secondo millennio dopo Cristo.

L’Yggdrasil del quale si parla nelle saghe norrene è una variante dell’Albero sciamanico della Vita, noto alle tradizioni centroasiatiche dei popoli delle steppe sia indoeuropei che uraloaltaici: una tradizione che, nella preistoria, è emigrata con alcuni di loro dalla Siberia all’Alaska attraverso lo stretto di Bering, ghiacciato durante il periodo invernale, trasferendosi nel continente americano. Il palo sciamanico è un Axis mundi, l’asse che idealmente collega questo mondo con l’Aldilà,  e che infatti si trova accostato alle tombe di alcuni khan mongoli, anche dopo la conversione all’Islam,: per esempio ve n’è uno presso la tomba di Tamerlano a Samarcanda.

Allo stesso modo in Occidente, grazie a quei popoli germanici che più a lungo avevano vissuto al confine tra Asia e Europa, come i goti prima e i longobardi poi, assorbendo alcuni dei costumi dei nomadi asiatici (in particolare dei sarmati) erano giunte alcune tradizioni legate allo Axis mundi. Per esempio, nel luogo presso Pavia dove nella seconda metà del VII secolo per volontà della regina longobarda Rodelinda  sorse la chiesa di S. Maria delle Pertiche, secondo il cronista Paolo Diacono v'era un cimitero nel quale i parenti dei guerrieri morti in battaglia lontano da casa piantavano vicino alle tombe vuote delle pertiche con scolpita sulla cima una colomba rivolta verso il luogo in cui, presumibilmente, i loro cari avevano perso la vita.

Una cerimonia che si ritrova pressoché identica nell'Altai, dove accanto alla tavola sacrificale per l’animale che avrebbe accompagnato il defunto nell’ultimo viaggio, venivano infisse nel terreno due pertiche con uccelli scolpiti sulla cima; il volatile era assunto a simbolo del potere, proprio dello sciamano, di compiere il volo magico, ovvero dell'ascesa al cielo dell'anima dell'animale sacrificato.

Concezioni simili erano diffuse fra gli Yakuti e i Dolgani della Siberia, per i quali le anime, dopo la morte, salivano in cielo sotto forma di uccello; la rappresentazione dell'ascesa era data proprio da pertiche o rami con uccelli di legno in cima.

Quando negli ultimi decenni dell’VIII secolo Carlo Magno, approfittando del fatto che i Sassoni rifiutavano i missionari cristiani, scatenò contro di essi una campagna militare ai limiti del genocidio, distrusse il loro luogo di culto più noto, l'Irminsul, nella città di Eresburg: si trattava di una colonna lignea, rappresentazione stilizzata dell'albero sacro Yggdrasil.

Nel frattempo, in Italia i popoli germanici erano giunti sino alle regioni più meridionali: l’esperienza dei longobardi del ducato di Benevento era destinata a durare molti secoli, assimilandosi progressivamente con le popolazioni locali di origine greco-bizantina e latina. Da questa proficua commistione di culti germanico-asiatici e mediterranei emerge probabilmente la bella tradizione degli Alberi del Maggio, pali primaverili ornati di ghirlande e di nastri che sino a pochi anni orsono nella campagne italo-meridionali venivano portati in processione dalle collettività il 1° maggio.

Le tradizioni dell’Albero del Maggio, simbolo di fertilità e rinascita, sopravvivevano folklorizzate anche in tutta la Germania. Vi erano però anche usanze legate alla stagione invernale, quando le feste solstiziali pure alludevano agli stessi riti di rigenerazione. Era il tempo dei  doni augurali che si scambiano con l’arrivo del nuovo anno e che nell’Europa settentrionale si usavano appendere, come offerte votive, agli alberi. Tuttavia, al fine di cristianizzare l’antica celebrazione pagana, l’albero veniva inserito all’interno di Misteri, rappresentazioni teatrali all’aperto dedicate alla Storia sacra: l’albero dei doni diventava così l’Albero della Vita della tradizione cristiana. Si dice che fu Martin Lutero il primo a pensare di trasportarlo all’interno delle case, per non far uscire la sua bambina in una serata di grande freddo. Presumibilmente, per allontanarlo ulteriormente dal significato di ritualità collettiva che aveva in passato.

Da allora si è diffuso come simbolo del Natale tedesco; almeno sino a quando esso ha fatto ritorno nell’intera Europa occidentale, che lo ha mutuato, insieme a Santa Claus, dall’intermediazione – e dalla commercializzazione – americana. Ma questa è un’altra storia.

Franco Cardini