Voragine del lungarno, il Ponte Vecchio sorvegliato speciale / TOUR VIDEO

Sopralluogo in barca: una parte del fondale si è spostata

Il professor Caciagli, in maglia blu, sotto Ponte Vecchio (New Press Photo)

Il professor Caciagli, in maglia blu, sotto Ponte Vecchio (New Press Photo)

Firenze, 1 giugno 2016 - Inzuppa da sempre le caviglie in Arno ma nessuno sa che qua e là s’infradicia anche le ginocchia? Questione di prospettive. Dall’alto la città è pietra e acqua, da sotto si vedono le calze bagnate. Ci sono chiazze scure nel corpo snello del ponte Santa Trinita, lungo le spallette rosse che corrono verso il mare, nei punti meno soleggiati del Ponte Vecchio. E la roccia è nera come pece negli anfratti delle arcate, vicino alle piante spuntate dalle budella dei palazzi che sfiorano il pelo dell’Arno.

«Guardate la chiesa di San Jacopo: dietro l’altare c’è una giungla» racconta con un sorriso malinconico Alberto, memoria storica dei Canottieri fiorentini che sono da sempre le ‘sentinelle’ del fiume, e nostro cicerone in questa piccola crociera a un tiro di schioppo dalla voragine del lungarno Torrigiani. Questione di prospettive, si diceva. Come stanno le ‘gambe’ di Firenze? O meglio: cosa c’è sotto i nostri piedi? Questo volevamo cercare di capire. Perché con il cratere del 25 maggio sono franate anche tante certezze dei fiorentini. La guerra con l’acqua, che qui ha la dimensione di memoria collettiva, non è ancora vinta e forse non lo sarà mai. Ma qualcosa, come dice Alberto, si può fare anche «semplicemente facendo un po’ di manutenzione».

Che qui sembra mancare. Non è un caso se le nutrie si sono divorate la terra e il giardinetto dei Canottieri, svuotato e rigonfiato dalle piene, si è come afflosciato. Non è un caso se dove c’erano piccoli sentieri, i rampicanti si sono mangiati tutto. Ponte Vecchio ha l’aspetto di uno straccio da strizzare. Inutile girarci intorno perché la domanda, con tutti gli scongiuri del caso, se la sono fatta tutti all’ombra del Cupolone: se il disastro del tubo della settimana scorsa fosse accaduto qualche decina di metri più a valle che ne sarebbe stato di uno dei monumenti più famosi del mondo?

La percezione, navigando questo pezzetto di fiume, è che il centro storico galleggi su terra e fango. L’umido è il dna della città. Entra nelle narici nel modo stesso in cui invade le pietre e i palazzi. Firenze è in uno storico, meraviglioso equilibrio. Però basta un attimo per accorgerci di quanto sia tutto fluido. «Con la frana del lungarno Torrigiani – racconta il nostro cicerone – si è spostato un pezzo di fondale dell’Arno. Ce ne siamo accorti subito». Sul letto del fiume, ci dice chi lo attraversa ogni giorno da sempre, ci sono ancora le tracce dell’alluvione di mezzo secolo fa che spazzò via campi, baracche, carogne di animali e le prime Cinquecento. Firenze, questione di equilibri. E di prospettive.

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