Vent’anni senza Indro Montanelli: il gene di uno spirito libero

Il 22 luglio 2001 il grande giornalista morì a Milano, ma volle che la Fondazione a lui intitolata avesse sede nella città che lo aveva visto nascere, Fucecchio

Indro Montanelli

Indro Montanelli

Fucecchio (Firenze), 22 luglio 2021 - Da vent’anni Indro Montanelli ci ha lasciati: il grande giornalista se ne andò nella città in cui ha svolto la sua carriera professionale, pur senza dimenticare la sua natia Fucecchio, in cui c’è la statua di una figura importante del Risorgimento, Giuseppe Montanelli, scrittore e patriota, di cui Indro (per giornalisti e avversari politici Cilindro) forzò un po’ la parentela. Il Montanelli dell’800 è raffigurato seduto su un mucchio di libri: di qui la definizione popolare, secondo i dettami dello spirito toscano, non sempre etereo, di cacalibri.

"Il legame con la città è testimoniato dalla scelta di realizzare la Fondazione a lui intitolata proprio nel suo paese natale", ricorda il sindaco Alessio Spinelli, che è anche nel cda della Fondazione Montanelli-Bassi. Il riferimento alla famiglia Bassi è dovuto ai forti legami tra quello che sarebbe diventato uno dei maestri del giornalismo italiano con la famiglia di Emilio Bassi, sindaco per vent’anni, che per Indro era una sorta di nonno. "La sede della Fondazione a Milano, ad esempio, avrebbe reso più facile – nota Spinelli – il cammino dell’istituzione, ma lui scelse diversamente, impegnando anche soldi propri",

Indro fu registrato all’anagrafe con questo nome, che si rifaceva a una divinità indiana, Indra, che non è certo presente tra i santi. Il padre Sestilio, professore, doveva essere un po’ seccato con la famiglia della consorte, Maddalena Doddoli, che aveva fatto in modo che il parto avvenisse nella parte alta della città, quella dei ricchi (insuesi), anziché in quella bassa (ingiuesi) più popolare, in cui la famiglia risiedeva. "Tanto per dare un ulteriore tocco polemico – sottolinea Spinelli –, al piccolo Indro fu assegnato anche, tra gli altri Alessandro e Raffaello del tutto normali, il nome di Schizògene, generatore di divisioni". Con questo antefatto il futuro nume del giornalismo non poteva che essere un bastian contrario su molti aspetti della vita sociale e culturale. "Ammiro il suo spirito libero. Quello dell’uomo che, quando Berlusconi voleva imporgli come trattare la sua discesa in politica, a 85 anni, se ne andò dalla sua creatura, Il Giornale, sbattendo, rumorosamente, la porta per dare vita poco dopo a La Voce".

Il giornalismo, quello di alto profilo, fu per lui una passione che ha dato molti risultati interessanti per il mondo della carta stampata e per il Paese. E’ stato una delle firme di riferimento del Corriere della Sera ma, quando non condivise il cambio di linea politica, se ne andò per fondare, qualche tempo dopo, Il Giornale Nuovo (poi, dal 1983, solo Il Giornale), che da tutti veniva definito ”di Montanelli”. Il suo modo di fare giornalismo, con posizioni nette, gli costò anche un attentato da parte delle Br che nel 1977 lo ferirono a una gamba, la gambizzazione, come si diceva al tempo. Di Montanelli non si può non ricordare un altro merito, quello di aver reso la storia italiana accessibile a tutte le fasce della società. La serie di libri sul ‘cammino’ del Paese, scritti con Roberto Gervaso, divenne un successo editoriale che riconciliò molti con la nostra storia, narrata però in modo diverso, realmente comprensibile.

Adesso una parte della sua memoria vive nelle attività della Fond azione intitolata a lui e alla famiglia di quell’Emilio che considerava un nonno.

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