Un “Trovatore“ irrisolto. E il pubblico fischia Applausi invece per Metha e i cantanti

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di Giuseppe Rossi

Non è facile raccontare la trama del Trovatore ma l’impresa diventerebbe addirittura impossibile sulla base dello spettacolo ideato da Cesare Lievi per questa nuova produzione che ha aperto il festival dedicato a Verdi dal Teatro del Maggio.

Le scene e costumi di Luigi Perego, intonati al cinereo squallore di un mondo devastato, concorrono a svincolarlo da ogni connotazione di spazio e tempo, mentre a confondere i piani della realtà e del sogno provvedono le continue controscene allusive al passato che sdoppiano e alla fine moltiplicano i personaggi in una spirale allucinata.

Peccato che molte soluzioni restino irrisolte e oscure, talvolta perfino sconfinando nel ridicolo, e che i protagonisti recitino ognuno a suo modo con i soliti gesti dei cantanti d’opera. Un’operazione comunque male accolta dal pubblico che ha invece manifestato pieno gradimento e perfino entusiasmo nei confronti della parte musicale. A garantirne l’impostazione tradizionale, compresi purtroppo i soliti tagli e accomodamenti, provvedeva Zubin Mehta con una lettura dai tempi comodi e dalle dinamiche calibrate ben realizzata dai complessi del Maggio nonostante qualche vistoso squilibrio, come quello occorso nel Miserere, rimediabile nelle repliche.

Grandi applausi hanno ricevuto i cantanti a cominciare da Fabio Sartori, Manrico solido e affidabile ma decisamente lontano dai connotati vocali e scenici dell’autentico tenore romantico. María José Siri gli ha affiancato una Leonora svettante e sicura pur senza il coinvolgimento espresso in altre precedenti prove, mentre più variegata e intensa è risultata l’Azucena di Ekaterina Semenchuck, perfino a prezzo di qualche intemperanza. Ha trionfato su tutti la splendida voce del Conte di Amartuvshin Enkhbat (nella foto) e un valido Ferrando si è dimostrato Riccardo Fassi all’interno di una compagnia completata efficacemente da Caterina Meldolesi, Alfonso Zambuto, Davide Piva e Joseph Dahdah.

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