Un muro d’acqua e il fascino della catastrofe

Marco

Vichi

Quando sento dire: "stanotte è venuto giù il diluvio", mi torna in mente il 3 novembre 1966. Ero bambino, e la mia famiglia stava passando nella casa di campagna il lungo ponte dei Morti e della Festa della Vittoria della Grande Guerra. Mai più ho visto una pioggia del genere: una muraglia d’acqua che impediva di vedere a un metro di distanza, che sembrava sfondare il tetto, e soprattutto che non smetteva mai. Ricordo la casa senza corrente, illuminata con le candele, mia madre stravolta che pregava, mio padre che doveva ancora tornare. Un senso di catastrofe che toglieva il fiato, ma che per un bambino – bisogna dirlo – aveva qualcosa di affascinante. Finalmente intravedemmo oltre il muro di acqua un chiarore di fari, e come speravamo era il Maggiolino di mio padre che parcheggiava nell’aia.

Entrò in casa bagnato come se fosse caduto in mare e corse a cambiarsi. Non poteva fare nulla contro quel cataclisma, ma la sua presenza rassicurò tutta la famiglia. Ci raccontò che attraversando il ponte alla Carraia gli era arrivato uno schizzo di fango sul parabrezza e aveva pensato a uno scherzo, poi però aveva guardato l’Arno, e lo aveva visto gorgogliare poco sotto il livello della spalletta. Ma nessuno di noi immaginava che nella notte il livello potesse salire e che la mattina il fango potesse sommergere la città, in alcune zone fino a 6 metri di altezza. Il 4 novembre fu una giornata funerea, e il 5 vedemmo il documentario realizzato da Zeffirelli, con immagini inimmaginabili accompagnate da un commosso Richard Burton, che in un italiano zoppicante raccontava ciò che era appena successo. Eravamo stupefatti, sopraffatti. Quando tornammo in città c’erano saracinesche sventrate, cumuli di detriti, donne piangenti, automobili rovesciate, una fanghiglia puzzolente che si appiccicava alle ruote, un tanfo terribile di liquami e di nafta, i viali presidiati dall’esercito, un clima da inferno dantesco… Ma avevo 9 anni, quella catastrofe continuava a suscitare in me un fascino potente, e 43 anni dopo quella extra ordinaria esperienza è finita in un romanzo del commissario Bordelli.

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