Inchiesta sugli ultras Juventus, perquisizioni a casa di un cinquantenne a Firenze

La maxi inchiesta: nel capoluogo toscano le attenzioni degli inquirenti si soffermano su un cinquantenne

La conferenza stampa dopo l'operazione che coinvolge il tifo juventino

La conferenza stampa dopo l'operazione che coinvolge il tifo juventino

Firenze, 16 settembre 2019 - Coinvolte anche Firenze e Massa nella maxi operazione scattata a Torino nei confronti degli ultrà bianconeri. Tra i 25 indagati per violenza privata (che si aggiungono ai 12 destinatari di misura cautelare, di cui 6 in carcere) c'è un 50enne, residente a Firenze. E' un capo del tifo organizzato toscano.

Nella sua abitazione, perquisita dalla Digos, sarebbero stati effettuati sequestri tra cui tessere del tifoso scadute e alcuni abbonamenti della Juventus. Ma, come emerge dalle 112 pagine dell'ordinanza firmata dal gip di Torino, Rosanna Croce, anche un club organizzato di Massa è stato “vittima” delle prepotenze dei “boss” della curva bianconera (per i Drughi, Mocciola Geraldo di 56 anni, Salvatore Cava di 51 anni, Domenico Scarano di 58 anni, Sergio Genre di anni 43, Luca Pavarino di 51 anni; del gruppo "Tradizione - Antichi Valori" Umberto Toia di 54 anni, Massimo Toia di anni 55, Corrado Vitale di 45 anni); dei "Viking" Fabio Trinchero di anni 48, Roberto Drago di anni 47; del Nucleo 1985" Christian Fasoli di 42 anni e di "Quelli di via Filadelfia" Giuseppe Franzo di 55 anni).

I colonnelli di Mocciola, Scarano e Trinchero, dei Drughi il primo e dei Viking il secondo, durante Genoa-Juventus del 17 marzo scorso, costrinsero alcuni fan club (tra cui quello del capoluogo apuano) a rimuovere i loro striscioni dalla curva ospite. L'azione serve a dimostrare compattezza e controllo in curva, perché in quel periodo è in corso uno sciopero del tifo voluto dai capi per ottenere privilegi e sempre più biglietti. Una ritorsione, contro i non organizzati e gli aderenti gli Juventus Club, perché nella gara precedente in casa, contro l'Udinese, avevano intonato cori di sostegno alla squadra contro il volere dei capi.

“Se li beccano a Genova e hanno qualche pezza gliela tolgono”, promette Scarano a Mocciola. E così sarà. Sentito dalla digos, uno dei referenti dei club costretti a rimuovere lo stendardo, spiega di aver obbedito “per timore che il mio rifiuto potesse creare delle ritorsioni da parte degli ultras, che sono sono notoriamente violenti, quindi per non rischiare di essere preso di mira da loro, ho subito tolto lo striscione”.

Intimidazioni al dirigente «Puoi andare a dirglielo che noi ci ricordiamo tutto di quando lui (il presidente Agnelli, ndr), D'Angelo e Marotta hanno incontrato la famiglia Dominello a Napoli e che quindi per questo saremo noi a chiamare Report (il programma d'inchiesta della Rai, ndr) e vi rompiamo il c...».

A parlare è Domenico Scarano, uno dei fidati 'colonnelli' di Geraldo Mocciola, detto Dino, storico leader del gruppo ultrà juventino dei 'Drughi' condannato in passato per rapina e omicidio. Scarano si stava rivolgendo ad Alberto Pairetto, funzionario della società bianconera (figlio dell'ex arbitro Pierluigi e fratello dell'attuale fischietto Luca), che rispondeva «di non preoccuparsi e che avrebbe riportato tali parole alla Dirigenza della Juventus, ma che in ogni caso non avevano nulla da nascondere». Questa, e altre minacce nei confronti del funzionario della società, sarebbe scattate come ritorsioni a decisioni della società sgradite ai capi ultrà, come la diminuzione delle disponibilità dei biglietti.

Sarà proprio Pairetto, Supporter Liasion Officer bianconero, a denunciare, il 19 giugno del 2018, pressioni e minacce. Consumazione libera Con le intimidazioni e le minacce di “creare problematiche”, gli ultrà avrebbero dettato legge anche presso il bar dello stadio del primo e del secondo anello dell'Allianz.

La vittima stavolta sarebbe luna società che ha in gestione i punti di ristoro in questione. Inizialmente, i gestori mettevano a disposizione una decina di voucher, che permettevano l'acquisto di panino e bevanda. Poi, da conversazioni telefoniche intercettate tra Scarano e Mocciola, tali buoni sarebbero diventati 50.

Ma quando, alla prima occasione, ne vengono messi a disposizione 'soltanto' 25, i capi si agitano. S'innesca una trattativa con il responsabile dei bar, che non vuole aumentare le consumazioni gratuite senza prima aver sentito la Juventus. “Servono per tenere buoni i ragazzi della curva”, prospetta Scarano.

Minacce via coro

Nel motivare l'esistenza di un'associazione per delinquere, al cui vertice si pone Mocciola e subito sotto i suoi colonnelli, il giudice Rosanna Croce enfatizza il ruolo strategico di Genre e Pavarino. “Avendo accesso allo stadio, Genre si avvale della partecipazione di Pavarino che ricopre il ruolo di 'lanciacori' per dirigere il tifo all'interno dello stadio, attività strettamente connessa alla strategia intimidatoria ai danni della Juventus in quanto strumentale a provocare le rigide sanzioni irrogate dal giudice sportivo per i cori denigratori e razzisti durante le competizioni sportive”. Bersagli preferiti, i rivali del Torino, i napoletani e i fiorentini.

L'ultimo ultimatum

L'ultimo episodio in ordine cronologico di questa inchiesta che si sovrappone all'altra, Alto Piemonte, è quello accaduto lo scorso 8 luglio. A raccontarlo è Alessandro D'Angelo, security manager bianconero. Agli inquirenti ha riferito di essere stato avvicinato da Mocciola che, parlando a nome dei Drughi, ha chiesto 200 biglietti per le trasferte europee, “pretendendo una risposta entro venti giorni”. D'Angelo gli ha risposto di essere “fuori dal sistema biglietti e gestione ultrà per cui non posso intervenire” e 'Dino' avrebbe ribattuto: “Se io avessi voluto avrei potuto fare qualsiasi cosa in Juventus”. Nel corso della conversazione, Mocciola avrebbe parlato anche del suicidio di Raffaello Bucci, l'ultrà dei Drughi che per conto dei bianconeri gestiva i rapporti con il tifo. Bucci avrebbe registrato alcune telefonate, consegnate al suo legale, che Mocciola aveva obbligato a registrare. “Il Mocciola non ha specificato con chi fossero le telefonate”, verbalizza D'Alessandro.

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