Semplicemente Antonio, Unico 10. Dolori e gioie: una vita per Firenze

Il divorzio tra Antognoni e la Fiorentina: la storia d'amore tra il giocatore e la città

Antognoni in una foto storica

Antognoni in una foto storica

Firenze, 17 luglio 2021 - Appartiene alla storia artistica della città, come Masaccio, il Beato Angelico e Botticelli. Perché nel suo calcio c’erano i tratti della pennellata rinascimentale, di chi ha portato fuori la Fiorentina dal buio medievale degli anni ‘70 riconsegnandole luce e bellezza. Giancarlo Antognoni, la Luce, o anche Enel come lo chiamavano i tifosi per via della predisposizione all’illuminìo.

A Firenze ci arrivò portato dall’intuizione di un uomo che di calcio sapeva assai, il barone Liedholm. Costui lo vide pedatare a Coverciano in uno dei tanti raduni delle Nazionali minori: "Se quello non diventa un campione smetto di allenare". Così il presidente Ugolini staccò un assegno di 400 milioni al patron dell’Astimacobi e Giancarlo da Marsciano si trasferì a Firenze. Sarebbe stato per sempre. Ora: raccontare in poche righe cosa sia stato Antognoni per queste parti è impresa ardua. Di certo, già dal suo esordio a Verona, chi c’era fu unanime nel parlare di lui come un fenomeno calcistico, etichettandolo come il "nuovo Rivera". Etichetta paradossalmente riduttiva: "Diciamo che io ero un Rivera che correva", dirà anni dopo lui, centrando la questione. Perché il 10 viola fu il prototipo di una figura nuova di centrocampista, il talento puro che per la prima volta si accompagnava a una prestanza atletica assoluta. Antognoni era ovunque.

Un 10 geografico che con la sua falcata imperiale attraversava il campo per intero. Un giocatore che tutti volevano, dalla Juve ("Ogni volta che incontravo Agnelli ripeteva sempre: ’Caro Antognoni, avrei voluto prenderla ma lei si è sempre rifiutato’") alla Roma ("Viola mi avrebbe dato piazza di Spagna per vedermi in giallorosso, ma dissi no"), ma che per sua volontà è rimasto a Firenze in una stagione infinita che va dal 1972 al 1987, giocando 341 gare e segnando 61 reti. E’ vero, questo legarsi per sempre alla causa fiorentina lo ha fatto vincere poco: l’unico trofeo della sua carriera viola è stata la Coppa Italia del ’75. Lo stesso, è stato l’uomo che ha fatto trionfare la passione in città: ci sono stati anni in cui si andava allo stadio solo per vedere lui, la sua andatura nobile, la botta pulita che sfondava i portieri.

Un giocatore totale che però non ha avuto la sorte dalla sua parte, come testimoniano i due infortuni terribili subiti in campo. Prima, nel 1982, la ginocchiata vigliacca di Martina alla testa che rischiò di ucciderlo. Poi, nel febbraio dell’84, lo scontro col libero della Sampdoria Pellegrini, che gli frantumò tibia e perone.

Già. il ragazzo che giocava guardando le stelle, secondo la bella definizione coniata da Vladimiro Caminiti, non ha mai avuto le stelle dalla sua parte, piuttosto una carriera zavorrata dalla malasorte. Antognoni è l’uomo che al mondiale in Argentina incanta per una sola gara e poi si ferma per la tarsalgia; è il calciatore che 4 anni dopo, nella sfida col Brasile al mondiale spagnolo, vede annullato un gol regolarissimo che lo avrebbe condotto nel mito insieme a Paolo Rossi; è il giocatore che, per rifarsi, nella semifinale con la Polonia non tira indietro la gamba nel tentativo di fare gol da fuori area, lacerandosi il piede nello scontro con Matysik e saltando la finale con la Germania.

Il destino che gli nega ostinatamente ogni possibilità di gesto eterno, quello che un dio beffardo del pallone avrebbe poi concesso qualche anno dopo perfino a Fabio Grosso e a Materazzi. Così a Madrid nel 1982, nel momento magico del trionfo, mentre le telecamere riprendono gli azzurri che sbracano al cielo la propria gioia alzando la coppa, in un frame si vede lui da una parte sorridere appena, quasi laterale a non disturbare, con il malinconico pudore di chi non vuol rubare la scena agli altri. Per qualcuno il segnale che l’uomo non era un predestinato a vincere.

Per i fiorentini, che sanno leggere le cose del mondo oltre la superficie, il marchio dell’eroe puro che non ha bisogno della vittoria materiale per trionfare nel cuore della gente. Come Parsifal, Ettore di Troia, Candide di Voltaire e Gilles Villeneuve, vincitori che non hanno conosciuto la vittoria. Così Antonio. Se vi pare poca cosa...

 

 

è arrivata su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro