Renzo Montagnani, il dramma oltre la risata Un vero attore che la critica non volle vedere

Era partito da Shakespeare, ma girò tanti film considerati di serie B. E lo fece soltanto per pagare costose cure al figlio malato di cuore

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Stefano

Cecchi

Era il primo a rammaricarsene. Diceva: "I film grossolani che ho girato sono una scelta per guadagnare ma io uso definirmi migliore dei miei film". E adesso, adesso che l’ex segretario del Pd Walter Veltroni gli ha dedicato due pagine due sul Corriere della Sera per dire che Renzo Montagnani "era un grande attore italiano", la Firenze che lo amava da una parte si compiace, dall’altra prova come un velo di tristezza. Perché la "sua" Firenze ha sempre saputo che il nipote del farmacista di via del Parione era un grande attore. Lo aveva capito da subito, da quando dopo essersi laureato in farmacia per seguire le orme di famiglia, disse "stare dietro al banco non fa per me" e iniziò la carriera di attore sul palcoscenico dell’Affratellamento.

Il primo ruolo, garzone di bottega in "Gano il duro di San Frediano", poi "L’acqua cheta" e "Gallina vecchia", concupito dall’immensa Sarah Ferrati. C’era del talento in quel ragazzo educato e arguto e per Montagnani arrivarono altre occasioni: la chiamata nelle compagnie di Enrico Varisio e di Macario, i classici da Brecht a Pirandello, lo Shakespeare della "Dodicesima notte" e lo Svevo della "Coscienza di Zeno" nella riduzione di Kezich. Poi arrivò anche la vita, con le sue sorprese e i suoi dolori. Era il 1963 e la moglie, la ballerina inglese Eileen Jarvis, che sarà la compagna per tutta la vita, gli diede un figlio, Daniele. Solo che il parto fu difficile, il forcipe venne usato male e per tutta la vita il figlio di Montagnani, ricoverato in permanenza in una clinica di Londra, ebbe bisogno di cure costosissime per poter vivere. Non esiste cuore di padre che non faccia di tutto per continuare ad abbracciare il figlio. E il cuore di Renzo Montagnani scelse quello di lavorare il più possibile per poter pagare quelle cure.

Così, come solo i grandi attori sanno fare, copri con la cipria del talento il velo di tristezza che il destino gli aveva stampato su e portò ironia e leggerezza su tutti i set che gli venivano proposti. E se a chiamarlo furono principalmente i produttori del filone chiamato commedia sexy, non fu certo colpa sua. Lui solo non poteva dire di no. Così arrivarono in serie i film di chiappa e spada e dunque le soldatesse alla visita militare, i ginecologi della mutua e le insegnanti in collegio e lui a fare i ruoli grotteschi del commendatore, del militare cialtrone o del nobile decaduto, tutti accomunati da un tasso di pressapoccaggine, cialtroneria e bonarietà.

Tant’è. Non era comunque difficile accorgersi che quell’attore, invidiatissimo dagli italiani per i rapporti ravvicinati con Edvige Fenech, Barbara Bouchet e Nadia Cassini, aveva una marcia in più rispetto agli altri. Eppure fuori Firenze non se ne accorse quasi nessuno Forse fu per colpa di quella "c" aspirata che Montagnani esponeva orgogliosamente. Chissà perché, se il romanesco di Sordi e di Verdone o il napoletano di Totò e Troisi hanno rappresentato un di più in positivo per costoro, il suo fiorentino atavico lo ha invece condannato a una diminutio, quasi una zavorra culturale.

Anche se in verità la vera zavorra per lui fu lo spirito del tempo. A massacrare i film nei quali recitava, allora fu infatti quasi tutta la critica schierata. Quella che se non seguiva dibattito non era cinema. Quella che se non ridevi a una battuta di "Ecce Bombo" eri un piccolo borghese inconsapevole. Quella che, se al contrario sorridevi a una battuta di Montagnani ma anche a una gag dell’immenso Franco Franchi o ai tic di Canà de "L’allenatore nel pallone", eri solo un povero di spirito da compatire, un cittadino di serie B.

Quella critica, per capirci, della quale Veltroni era membro effettivo in servizio permanente a tempo pieno. Renzo Montagnani pagò durante quel clima, che solo grazie a Fantozzi e alla sua "la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca" iniziò a creparsi. Qualcuno per questo lo definì anche attore da bordello, procurandogli ferite nell’anima dalle quali non è mai guarito. Montagnani morì nel 1997 per un tumore ai polmoni. "Era un uomo pulito ma sfortunato, una bravissima persona" scrisse di lui quel giorno Indro Montanelli. Da allora è sepolto a Londra, accanto al figlio Davide che lo ha raggiunto nel 2004. La speranza è che l’eco delle parole scritte oggi da Veltroni, che quei film "erano la prosecuzione del varietà che ha fatto grande il cinema italiano" e che "quando il sopracciglio dei detentori della verità estetica si abbassa, anche il loro occhio riesce a vedere il bello che il pubblico ha già metabolizzato", possa arrivare fin lassù. Non a lenire un dolore come risarcimento postumo, ma a fargli fare dal Cielo una risata toscana. Quelle che avevano il profumo buono dell’ironia, che caratterizzavano i suoi film e che, allora come oggi, a chi scrive piacciono e piacevano un mondo.

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