Renzi pratoliniano, Conte machiavellico. Se la crisi è una lite tra caratteri fiorentini

Un po’ Metello, un po’ Maciste, per il carattere sanguigno Matteo sembra appena uscito da un romanzo dello scrittore. Gelido e distaccato, il premier pare invece il compagno di banco che passò al filosofo l’appunto: "Il fine giustifica il mezzo"

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Firenze, 14 gennaio 2021 - Rimpasto di governo, Conte ter, dicastero Cartabia: non affannatevi. La cosa migliore da fare ora è evitare di scommettere su come andranno a finire le cose. Perché quando due caratteri “fiorentini“ litigano, è impossibile individuare chi sarà il primo a mollare. E i duellanti di Montecitorio, ovvero Renzi e Conte, cos’altro sono se non due personaggi che hanno modellato il carattere nella fiorentinità più profonda?

Matteo l’ex rottamatore del Pd, l’uomo che a suo tempo fece dire "se prima i comunisti mangiavano i bambini, adesso sono i bambini che mangiano i comunisti". E Giuseppi l’americano, l’avvocato con la pochette degli italiani. Sosteneva Giorgio Manganelli che "come in Spagna mi ispanizzo e in Germania vagheggio di farmi goethiano, così a Firenze sperimento una trasformazione, un’insidia, una seduzione che mi cambia per forza". A dire che chiunque abbia a che fare con la città, ne mutui i tratti distintivi del carattere. E successo anche con Renzi e con Conte, due fiorentini di sostanza appartenenti a due scuole ideologiche diverse della città.

Se il primo (Renzi) sembra uscito da un romanzo di Vasco Pratolini (un po’ Metello, un po’ Maciste dei Poveri amanti, un po’ Valerio del Quartiere), l’altro sembra il compagno di classe di Nicolò Machiavelli, quello che gli passava gli appunti con su scritto: "Il fine giustifica i mezzi". Sanguigno il primo, gelido il secondo.

Fremente per l’Ok Corral il primo, tramatore di sacrestia il secondo. Casual scerviniano il primo, un look da marchese Pucci il secondo. Matteo e Giuseppe, così diversi eppure così uguali nella voglia di polverizzare l’altro. In fondo i due fin dall’inizio non si sono piaciuti per niente.

Mentre Renzi gelò subito il neo premier all’apparire sul proscenio ("Conte mio amico? Veramente era amico di Maria Elena a Boschi"), il secondo, ispirandosi appunto a Machiavelli ("Meglio è vincere il nemico con la fame che col ferro, nella vittoria del quale può molto più la fortuna che la virtù"), lo ha sempre ricambiato snobbandolo o, peggio, ignorandolo. Che non c’è cosa peggiore da subire per un vascopratoliniano, come ben si capisce leggendo le Ragazze di San Frediano.

Certo qualcuno potrebbe obiettare: ma anche Renzi è stato machiavellico quando, nell’estate 2019, approfittando della crisi più comica della storia repubblicana, fece ciò che nessuno avrebbe immaginato. Ovvero, pur di impedire a Salvini di arrivare a Palazzo Chigi, fece alleare il Pd con il M5s, rilanciando Giuseppe Conte al timone del governo con un equipaggio diverso e tanti saluti ai pieni poteri del Capitano. Ma fu la mossa di un attimo. L’istinto del politico di razza che vede il suicidio goffo dell’avversario e compie la mossa del cavallo. Renzi, un machiavellico congiunturale e non strutturale come Conte, che la concezione ciclica della storia sembrava averla ben chiara fin dal cambio di maggioranza (“Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”).

Così, di fronte a un presidente del consiglio che col passare dei mesi ha fatto di tutto per mostrarsi decisionista tout court, in barba a coloro che lo hanno creato e tuttora ne sostengono il dicastero, l’animo pratoliniano di Renzi non ha retto ed è riesploso: "Ma chi crede di essere quello lì?". Esattamente com’era successo con mille altri personaggi che Matteo riteneva proprie filiazioni (da Civati a Richetti, da Reggi a Gori) e che a un certo punto sono sembrati disconoscerne l’autorità. Da qui la minacciata crisi di governo e la tensione di queste ore.

Per questo, se tutto ciò ha un senso, è inutile ora chiedersi chi ha ragione. Meglio: la ragione, secondo chi scrive, sta tutta dalla parte di Renzi, visto che è folle pensare di non gestire collegialmente una così grande mole di risorse che l’Europa sta offrendo, esautorando il Parlamento e commissariando i ministeri con l’ennesima task force. Ma ciò non è importante. Perché quasi nessuno oggi crede che Renzi stia facendo baraonda per questo, piuttosto che si stia assistendo alla collisione di due caratteri fiorentini forti, indisponibili ad abbassare la testa di fronte all’altro. Un po’ come se si chiedesse a un Azzurro di inchinarsi al Bianco (o viceversa) sulla rena di Santa Croce.

Un inciampo di personalità più che una crisi di governo. Lo scontro di caratteri tosti, temprati nello spirito di una città, "che, come luogo privilegiato, offre una segreta interpretazione del mondo, ed esige per questo di essere guardata". Lo dice sempre Manganelli e anche stavolta perché dargli torto?

 

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