Quella gru ci mancherà

Io lo so che alla fine ci mancherà. Sì, se davvero la gru che da 20 anni campeggia sul cantiere fermo dei nuovi Uffizi a maggio verrà rimossa, sono convinto che dal giorno dopo avremo come la sensazione che allo skyline di Firenze manchi qualcosa. Perché a quella giraffa di metallo che spunta dalla Loggia dei Lanzi come un tempo Paolini spuntava alle spalle dei giornalisti in tv, oramai ci abbiamo fatto l’abitudine. Come la rificolona e i fochi di san Giovanni, la consideriamo un appendice del cielo fiorentino. Qualcosa che non solo gareggia in altezza con la torre d’Arnolfo ma che è entrata di prepotenza nel costume cittadino: su Instagram da anni una pagina a lei dedicata raccoglie tutti gli scatti che in qualche modo la ritraggono; la stessa Chiara Ferragni, dopo essersi fatta ritrarre davanti alla Primavera del Botticelli, ha scelto di farsi uno scatto anche con la gru alle spalle e Rocco Commisso, qualche tempo fa, la usò come parametro negativo per raccontare di come funzionano le cose a Firenze e, più in generale, in Italia. Sì, quella gru senza volerlo oramai è un monumento simbolico allo stallo, una sorta di cenotafio alla nostra lentezza nel fare. Per questo io non solo non la butterei giù ma, come ha suggerito per scherzo il sindaco Nardella, la vincolerei come bene delle belle arti, lasciandola lì per sempre.

E’ vero, non possiamo dire che questa sia architettonicamente una bellezza, anzi. Ma a volte son proprio i difetti che consegnano alla storia. Per dire: se la torre di Pisa fossero stata fatta perbenino e dunque fosse rimasta dritta, avrebbe avuto il successo che ha oggi nel mondo? E se Manet, Renoir e Degas non fossero stati miopi, avremmo avuto lo stesso la meraviglia dei tratti impressionisti? Anche i difetti a volte hanno diritto di cittadinanza per sempre. Per questo in America, paese che non ha Storia alla spalle, son sicuro che la gru diverrebbe in qualche modo un richiamo formidabile come attrazione per il suo anacronismo. In Italia, paese dove la Storia la trattiamo come pezza da piedi, la gru dovrebbe restare lì per sempre a monito della nostra indolenza. Un monolite silenzioso d’accusa che ogni giorno ci induca a riflettere sulla nostra sventatezza nel gestire le meraviglie che generazioni meno sciagurate della nostra ci hanno consegnato e che noi non sappiamo, per cialtroneria, proiettare nel futuro.

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