Quando i giochi si costruivano con la fantasia I nonni raccontano i loro passatempi preferiti

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Quando eravamo piccoli i nostri passatempi consistevano in qualche attrezzo da noi costruito, una fionda per esempio: un rametto fatto a forcella, una vecchia camera d’aria di bicicletta, un pezzetto di cuoio di un paio di scarpe che nessuno portava più e la fionda era fatta. Lungo il fiume Lamone si faceva a gara a chi lanciava più lontano o centrava un barattolo arrugginito. Un giovane frassino, robusto e flessibile, si prestava alla perfezione per diventare un arco e le stecche di un ombrello in disuso, appuntite a forza di sfregarle su un sasso, diventavano frecce. In piazza Scalelle, allora sgombra di macchine, si poteva giocare con biglie di vetro colorate, i “gocci”. Se non c’erano si suppliva con i tappini di metallo delle rare bibite. Tutti eravamo dotati, più o meno, di una certa inventiva, perché bisognava arrangiarsi. In estate si raccoglievano i noccioli delle pesche, si levigavano nei sassi e diventavano anelli. Si prendevano dei bottoni dal gilè del babbo, si faceva una buca per terra e si lanciavano e chi ci andava più vicino vinceva o le gare con i tappini sul muretto; a volte si usavano delle piccole palle fatte di cuoio o stoffa o carta e stracci. Si costruivano bambole di pezza o bambole fatte di foglie di pannocchia. Ci si divertiva a scrivere messaggi sui sassi per poi lasciarli nei sentieri, svuotare e forare i rami giovani di castagno per costruire una specie di flauto chiamato “la piva”. Si giocava a campana disegnando i segni per terra. Unico obbligo: rientrare prima del tramonto, ma quando c’era la luna piena tutti a giocare a nascondino nella magica atmosfera di una notte piena di stelle.

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