In carcere 27 anni dopo l’omicidio. Ma l’ergastolo è stato annullato

Un nuovo processo davanti alla corte d’assise d’appello per l’omicidio del settembre 1995 a Varlungo. In un regolamento di conti per il controllo del racket della prostituzione, un uomo venne ucciso a coltellate

Il pm Canessa all'epoca dei fatti (archivio New Pressphoto)

Il pm Canessa all'epoca dei fatti (archivio New Pressphoto)

Firenze, 15 maggio 2022 - Alban Zhuka venne letteralmente scannato nei pressi di un camper parcheggiato in via Turati, a Varlungo. Era una notte afosa di settembre del 1995: gli anni della massiccia immigrazione albanese che si tradusse, qua ma non solo, in mille guerre per il controllo di traffici illeciti. In questo caso, la prostituzione: Zhuka era il fidanzato ma soprattutto il protettore di una ragazza di 19 anni che faceva la vita in lungarno Aldo Moro. Le indagini dei carabinieri si concentrarono subito in quell’ambiente e nel giro di un mese, il gip Antonio Banci spiccò tre misure cautelari. Ma due dei presunti assassini di Zhuka, erano già introvabili.

Oggi, a quasi ventisette anni di distanza, quella misura cautelare è stata eseguita nei confronti di Nikolla Duri, albanese pure lui. Oggi un uomo di 60 anni con moglie e figli, allora poco più di un ragazzo. Per l’accusa, avrebbe accompagnato il nipote, Gentiam Duri, in quell’esecuzione dettata dall’esigenza di controllare il racket della prostituzione a Firenze. Ipotesi rafforzata dalla circostanza che pochi mesi dopo la morte di Zhuka, Gentiam - tornato in Albania - venne a sua volta giustiziato: fu la vendetta?

A Firenze, ai Duri era stato nel frattempo inflitto l’ergastolo in contumacia, ma oggi, gli avvocati Sabrina Del Fio e Alessandro Falzoni hanno dimostrato che Nikolla, benché fuggitivo, non era consapevole del procedimento a suo carico e ha ottenuto quella che nel linguaggio giuridico si chiama "restituzione dei termini": la condanna non è più definitiva e ci sarà un nuovo processo d’appello. L’imputato, alla luce della sua posizione, avrebbe ottenuto anche la scarcerazione; però, è tornata “viva“ quella ordinanza di custodia cautelare vecchia di 26 anni. E Nikolla Duri, estradato dall’Albania, sta aspettando nel carcere di Sollicciano il giudizio.

L’anno scorso, i carabinieri del nucleo investigativo di Pordenone erano riusciti a scovarlo a Kavaje, in Albania, la città dove nel 1998 era stato ucciso il nipote. Pare che dopo l’omicidio di Zhuka, Duri sia transitato prima da Milano, poi avrebbe trovato rifugio in Francia e infine si sarebbe rifatto una vita in Albania.

Il 29 giugno, l’udienza dinanzi alla corte d’assise d’appello. Adesso, i verbali battuti a macchina dalla polizia giudiziaria, guidata dal magistrato Paolo Canessa, all’epoca impegnatissimo pure a dar la caccia ai “mostri“ di Firenze, sono stati rispolverati in vista del rinnovato dibattimento. Uno di questi, contiene il racconto di Albana, la fidanzata della vittima dell’omicidio. Riferì che, la sera prima del delitto, mentre aspettava i clienti sul lungarno, venne presa a calci da Nikolla e che la sera seguente incrociò invece il nipote di Duri, Gentiam, che mimando il gesto del tagliare la gola, le annunciò che avrebbe ucciso il suo fidanzato. Poi disse di aver visto ancora Gentiam, in compagnia dello zio e di un terzo albanese, attraversare il viale e dirigersi verso via Turati dove, poco dopo la mezznaotte, venne ritrovato il cadavere di Alban Zhuka.

L’albanese era stato finito con due coltelli da cucina ritrovati in un terreno incolto lì vicino. Aveva ferite da taglio un po’ ovunque e probabilmente era stato colpito, o tenuto fermo, anche con una catena di una bicicletta. Un altro albanese, Ilir, amico della vittima, raccontò di averlo accompagnato all’appuntamento, che Alban era disarmato e che per questo era stato “tradito“.

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