Non solo vino, ma il futuro è tutto ‘bio’

Intervista al presidente del Biodistretto del Chianti Roberto Stucchi: "L’importanza di sfruttare l’intero territorio con altre colture".

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di Andrea Settefonti

Cinquantacinque aziende, un terzo degli ettari di vigneti del Chianti Classico che ne conta 10mila, tutti i Comuni del territorio del Gallo Nero presenti. È la carta di identità del Biodistretto del Chianti, che ha visto la nascita a Panzano nel 2011, dove oggi quasi la totalità delle aziende e dei terreni sono biologici, per poi espandersi a Greve e quindi nel 2016 a tutti gli altri Comuni, senesi e fiorentini. "Il controllo del Biodistretto rimane ai produttori – spiega il presidente Roberto Stucchi – anche se tutta l’attività viene concordata con i Comuni". Oggi il distretto si concentra sul vino: "La gran parte sono produttori vitivinicoli – dice Stucchi – qualcuno produce olio, ma ci sono programmi per proporre la rinascita di una diversificazione culturale. Come lo era prima degli anni ‘60, quando c’erano cereali, piccoli allevamenti, orti". L’obiettivo, "oltre a puntare al 100% del territorio biologico", è quello di dare vita "filiere non soltanto legate al vino, che è un po’ un limite. Vogliamo arrivare a un biologico avanzata, all’incremento della biodiversità". Per portare avanti queste intenzioni, propone Stucchi, "si potrebbero impiegare i terreni oggi incolti e abbandonati in quanto non idonei alla coltivazione della vite. I terreni di pianura o quelli di alta collina potrebbe essere valorizzati con la produzione di altre culture".

Parlare di biologico, oggi, in epoca Covid, è una scelta quasi obbligatorio. Durante il lockdown gli imprenditori avevano investito con ottimi ritorni nel mercato digitale e nella consegna porta a porta. Avevano scommesso sulla vendita on line, strumento di commercializzazione sempre più diffuso ed esteso tra gli agricoltori del Chianti. È stata "una sfida che ci eravamo già posti nei nostri obiettivi a medio e lungo termine per accelerare la nascita di filiere diverse nel Chianti ", continua Stucchi. "Una spinta e uno stimolo a lavorare sulla varietà delle produzioni. Un fermento che inizia a manifestarsi con le coltivazioni di cereali, apicoltura, allevamenti di capre e pecore, qualche orto sulle terrazze. Questo lavoro è fondamentale non solo per il recupero di terre marginali e imboschite, presenti nel Chianti, ma per assicurare un lavoro più continuativo, distribuito nel corso dell’anno". "C’è molto interesse verso agricoltura e prodotti bio – conclide Stucchi – la situazione che viviamo porta sempre più persone a porsi la domanda su ciò che mangiamo. Per questo dobbiamo cambiare modello di economia e di sviluppo".

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