Molestie e mobbing. Se il lavoro delle donne è un incubo

Dalla commessa palpeggiata alla dipendente oberata di incarichi. Centinaia di casi segnalati allo sportello della Cgil

Un sit in del coordinamento donne della Cgil fiorentina

Un sit in del coordinamento donne della Cgil fiorentina

Firenze, 3 ottobre 2019 - La carezza più dolce, sulla guancia dell’innocenza. Il cazzotto più duro, ficcato nello stomaco. A Valentina e ai suoi trent’anni il mondo ha mostrato senza fronzoli discese ardite e risalite di questi tempi frenetici e balordi, capaci ancora di farti sognare – con la nascita di un figlio – e poi di scartavetrarti corpo e cuore, con un posto fisso di lavoro abbandonato perché la testa scoppia. Scoppia zeppa di piccole angherie, mobbing silenziosi, spiccioli di quotidianità subdole e sfiancanti.

Valentina, dipendente di un’azienda privata, partorisce un bimbo. Quando rientra dalla maternità chiede con il candore di chi è dalla parte del giusto che le venga riconosciuto un periodo di tempo part-time, previsto regolarmente dal contratto. Picche. L’azienda nicchia, tergiversa. Snerva. Alla fine il part time non si fa e Valentina è costretta a lavorare a tempo pieno, nonostante il piccolo da crescere.

Non demorde. L’azienda le cambia ruolo, le dà un part time ma dopo poco tempo cambia di nuovo idea la giovane viene ricollocata in modalità ‘full’. Lei cede, sfiancata, e si licenzia. «Si è sentita sola, stressata e ha mollato tutto. Se solo si fosse rivolta prima a noi saremmo riusciti in qualche modo ad aiutarla. Certo ci proviamo lo stesso, ma essendosi licenziata è più difficile».

Cristina Arba, responsabile Coordinamento Donne Cgil Firenze , è tosta e sa quali sono diritti delle donne. Ma la voce le si ammorbidisce quando racconta alcune delle centinaia di storie raccolta allo sportello «Donna chiama Donna», attivato dalla Cgil già da alcuni anni. In centinaia vi sono state accolte a un ritmo di circa 150 l’anno. La stragrande maggioranza delle donne che chiedono aiuto lo fanno per problemi sul posto di lavoro. Vessazioni dopo il rientro dalla maternità, molestie, profili di mobbing. Le altre sono perlopiù vittime di violenza o in fase di separazione dal marito. Allo sportello ci sono parole, carezze, mani salde. Ma anche aiuti concreti per le battaglie.

Perché di storia in storia affiora la costola marcia di un mondo, quello del lavoro, ancora intriso di soprusi, piccolezze, cattiverie, sottili (o meno) forme di machismo. Sara è sintetica e drammatica: «La mia azienda – dice – un secondo figlio non te lo perdona». E talvolta non perdona nemmeno i drammi degli anziani.

Sara  chiede il part time per assistere la mamma malata. Gli viene concesso, tra mille mal di pancia. Ma qualcuno gliel’ha giurata. Il suo datore di lavoro la sovraccarica «tanto da farla lavorare, alla fine, le stesse ore di un full time ma con lo stipendio dimezzato». Francisca è una ragazza del Sud America. Fa la domestica in casa di un uomo che allunga le mani. Di continuo.

Lei si chiude a chiave in bagno, un giorno scappa di casa ma poi torna perché ha pur bisogno di lavorare. Alla fine va allo sportello «Donna chiama donna» e racconta tutto. La Cgil la mette in contatto con un centro antiviolenza, le fornisce un avvocato, l’aiuto a trovare un altro lavoro. Aiuterà anche Natasha, giovane dell’est. Lavorava in un negozio in centro, un collega le metteva le mani addosso. Lei aveva chiesto al titolare: «Cambiami i turni, non mi far più trovare qui con lui». «No, i turni sono questi». Natasha non ha avuto scelta e se n’è andata.

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