Simone ricoverato al Meyer scopre e racconta in un diario la 'terapia della bellezza'

Il bambino, 11 anni, tra un ciclo di cure e l'altro, ogni volta che riusciva a farlo, partiva con i suoi genitori alla scoperta delle meraviglie della Toscana

Il piccolo Simone al Meyer

Il piccolo Simone al Meyer

Firenze, 22 marzo 2019 - Simone è arrivato al Meyer da una cittadina in provincia di Catanzaro quando aveva 11 anni. Pochi giorni dopo, la diagnosi: sarcoma di Ewing. Una “pallina”: così la hanno chiamata, da subito, i suoi genitori, e contro quella Simone ha combattuto per quasi un anno, prima di tornare alla vita normale. Tra un ciclo di cure e l'altro, ogni volta che riusciva a farlo, partiva con i suoi genitori alla scoperta delle meraviglie della Toscana: proprio da quelle "fughe" è nato un diario in cui Simone ci racconta cos'è la "terapia della bellezza".

“Io che ero abituato a correre, saltare, giocare, non fermarmi davanti a niente, ora mi trovavo chiuso in un ospedale senza le mie cose - scrive Simone -. I miei genitori mi dicevano che dovevo iniziare delle terapie che mi avrebbero fatto sentire male, la pallina doveva essere distrutta”. Già, perché in quei lunghissimi dieci mesi Simone ha scritto un libro. Una guida, un diario: sessanta pagine di emozioni e luoghi, catturati durante le sue “fughe” dal Meyer. “I miei genitori mi parlavano sempre della ‘terapia della bellezza’, una terapia piacevole che avrei iniziato dopo ogni ciclo. Loro dicono che la Toscana è un posto meraviglioso che mi aiuterà a guarire, mi ripetono spesso che nelle cose brutte che accadono nella vita, bisogna saper trovare le cose belle”, annota.

Detto, fatto. Ogni volta che gli effetti collaterali della chemioterapia lo consentivano, Simone e la sua famiglia partivano. Poche ore, via dai reparti, immersi nella natura, nella storia dell’arte, all’aria aperta. Firenze, Siena, San Gimignano, Viareggio, Pistoia, Prato, Empoli, Monteriggioni, Pisa e via per tutta la Toscana. Poi Simone tornava e scriveva, scriveva, scriveva. E poi ripartiva, e scattava fotografie: “È passato qualche giorno e mi sono ripreso, i miei genitori mi hanno regalato una macchina fotografica affinché io riesca a catturare le immagini più belle di questo viaggio nella bellezza”. Nei dieci mesi di ricovero, necessari per l’intervento chirurgico e i cicli di cura, Simone ha frequentato la scuola ospedaliera del Meyer. È stata la sua insegnante, Elena, a spingerlo a scrivere e condividere la sua terapia della bellezza.

Sono pagine appassionate, quelle di quel diario. Tra una parola e l’altra è facile immaginarsi un bambino a bocca aperta, che spalanca la bocca in piazza del Duomo a Firenze: “Uno spettacolo indescrivibile, ci soffermiamo tanto in quella piazza, non so da dove iniziare a guardare”. Simone ha lo sguardo dei bambini, occhi capaci, pronti a riempirsi, che gli fanno scrivere: “Non so a quanti di voi capita, ma, a me, ogni volta che attraverso le mura di un paese toscano, mi sembra di attraversare le barriere del tempo”.

E così le torri di San Gimignano sembrano “dei grandi soldati che osservano lo straniero”, la visita agli Uffizi è una sfilata di capolavori: “Piero della Francesca, Michelangelo, Raffaello, Giotto, Cimabue, immagini sacre, scene di guerra, principi, regine, animali.Troppe emozioni in sole tre ore!”. Si legge tutto d’un fiato il suo bel libro. I dolori legati alla malattia (che ci sono, prepotenti) scorrono in filigrana e la “terapia della bellezza” porta distrazione e un po’ di leggerezza in un periodo così difficile della vita di Simone e della sua famiglia. Dopo aver visto la Torre di Pisa, Simone scrive: “Ho tanta voglia di scalare quella torre pendente ma fa molto caldo, mi fanno male i piedi: quando starò meglio, tornerò in questo posto e mi metterò a correre in questo prato verde fino a farmi mancare l’aria”. Oggi Simone sta bene, quel prato lo aspetta. Torna al Meyer periodicamente per i controlli e la sua “terapia della bellezza” è il ricordo indelebile di un viaggio di resilienza.

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