L’ultimo padrino e i Georgofili. "Con Matteo niente brutte figure"

La difficoltà per far alloggiare il commando a Prato: i picciotti fecero avanti e indietro dalla Sicilia. Le due verità sul Fiorino imbottito di esplosivo. C’era anche una carica aggiuntiva di tipo militare

Firenze, 18 gennaio 2023 - Nel maggio del 1993, i “picciotti” stanno preparando la strage dei Georgofili. Vincenzo Ferro è il medico, risentito recentemente anche dalla commissione antimafia, che ha il compito di far da collegamento tra i siciliani e la base logistica individuata a Galciana, Prato, e anche di controllare che tutto filasse liscio. Perché Antonino Messana, zio di Ferro, è recalcitrante alla prospettiva di ospitare a casa sua il gruppo di fuoco che arriverà da Palermo per piazzare la bomba che farà cinque morti e danni incalcolabili al patrimonio artistico di Firenze. Così, Ferro sarà costretto a far ben cinque viaggi Palermo-Prato per definire l’accoglienza. "Una brutta figura con Matteo non la poteva fare", dirà, per descrivere il contesto, quando diventerà pentito.

Matteo è Messina Denaro, all’epoca già latitante ma fresco erede del trono di Cosa nostra lasciato libero dall’arresto di Totò Riina.

I Ferro sono strettamente legati all’uomo che, con i fratelli Graviano, mise in atto la strategia stragista del ‘93-‘94. Il padre di Vincenzo, Giuseppe, è il capo mandamento di Alcamo. E anche se in quel periodo è detenuto, pure dal carcere segue la preparazione delle bombe. L’esplosivo. Nell’autobomba di via dei Georgofili finiscono circa 250 chili di una miscela di pentrite, tritolo e T4. Le polveri venivano dal mare di Santa Flavia: i pescatori avevano tirato su vecchi ordigni inesplosi della seconda guerra mondiale. In una garage di Corso dei Mille, a Palermo, tre uomini d’onore cavarono l’esplosivo dalle bombe e lo macinarono con la mola, fino a farne alcune forme, tipo quelle del parmigiano. Erano Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano e Gaspare Spatuzza, il mafioso che con il suo pentimento darà vita a un ulteriore processo agli esecutori della strage fiorentina, e smaschererà il depistaggio sull’attentato di via D’Amelio. Le “forme di parmigiano” vennero caricate sul tir di un autotrasportatore, Pietro Carra. L’autoarticolato arriva in Toscana dal mare: il 25 maggio sbarca al porto di Livorno e la sera, vicino a un cimitero, gli stessi Lo Nigro, Giuliano e Spatuzza, nel frattempo partiti pure loro alla volta di Firenze con Giuseppe Barranca, trasportano l’esplosivo dal sottofondo del tir alla Fiat Uno di Messana. Nel frattempo, il cognato del boss Ferro si è lasciato convincere ad ospitare il commando. Ha messo a loro disposizione l’abitazione per dormire e anche un garage, dove verrà caricata l’autobomba.

Il Fiorino. Intorno alle 19.30 del 26 maggio, come documentato da alcune telecamere, Spatuzza e Giuliano, che nel frattempo avevano fatto almeno un paio di sopralluoghi intorno agli Uffizi, rubano il Fiorino della ditta “Fire”, parcheggiato in via della Scala e lo portano a Prato. Nel garage viene imbottito delle forme di esplosivo. Spatuzza rimane a guardare la partita assieme al padrone di casa (quella sera giocava il Milan nella finale di Coppa dei Campioni), mentre gli altri membri del gruppo di fuoco Giuliano e Lo Nigro al termine della gara partono alla volta del centro di Firenze. Destinazione via dei Georgofili, alle 1.04 l’esplosione.

La verità “parallela”. Ferro, che ebbe il ruolo di “supervisore” dell’operazione, è stato recentemente ascoltato dalla commissione antimafia. Nella ricostruzione dei parlamentari, la partenza da Prato sarebbe da anticipare a quando la partita era ancora in corso e il Fiorino sarebbe stato imbottito con una carica aggiuntiva di esplosivo di tipo militare posizionata pochi minuti prima dell’abbandono del mezzo sotto la torre dei Pulci. A questa operazione, potrebbe aver assistito il portiere dello stabile di via dei Bardi, che, circa un’ora prima dell’attentato, udì una discussione sotto le sue finestre e vide due uomini portare un borsone che sembrava pesante, una donna dar loro ordini e un Fiorino mettersi in marcia verso l’altra parte dell’Arno. La procura, che a distanza di trent’anni cerca i presunti mandanti, ha in animo di verificare le perizie balistiche, anche se ora c’è una nuova urgenza che potrebbe aiutare a completare il quadro della stagione delle stragi: si chiama Matteo Messina Denaro.

 

 

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