Ma noi toscani siamo simpatici o antipatici?

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Ma noi toscani, noi fiorentini, fuori dai confini della regione risultiamo simpatici o antipatici? Se la domanda mi fosse stata posta 30 anni fa non avrei avuto dubbi: siamo simpatici. E ne potevo essere testimone personale: avendo vissuto nella fine anni ’80 a Roma, erano innumerevoli gli episodi nei quali percepivo una predisposizione benevola per il nostro modo di rileggere la realtà attraverso la lente colorata dell’ironia o, più banalmente, solo per come ordinavamo al bancone del bar la Coca Cola riuscendo a fare meno a meno delle c. Poi qualcosa è successo. 

Insomma, io non se abbia ragione Niccolò Carradori, che in un suo articolo sulla rivista internettiana Vice, ha ipotizzato che con la nostra "cialtroneria, egocentrismo, passatismo e superbia", abbiamo devastato questo paese. Ma certo è che quella simpatia contagiosa di fondo che percepivamo per i nostri tic, oggi si è annacquata. Facendo sì che molti cominciassero a vederci non come irriverenti geniali ma come “quei cugini insopportabili che rovinano la festa di Natale a tutti perché vogliono attirare l’attenzione“. Perché ciò è successo?

Forse perché in questi ultimi 30 anni da marginali che eravamo, siamo diventati altro. Siamo diventati centrali nello spettacolo, a esempio, con i film milionari di Pieraccioni, gli spettacoli in Rai di Benigni, gli spot di Panariello, le gag di Ceccherini, l’invasione mediatica di Paolo Ruffini. Non solo. Anche in politica è successo qualcosa di simile. Esaurita la stagione Fanfani (che comunque era un toscano atipico), per anni la nostra regione era stata ai margini, considerata una variabile un po’ anarchica nel grande scacchiere del Potere. Finché non è arrivato il ciclone Renzi a cambiare le cose, imponendo la toscanità al centro del mondo con i suoi gigli magici, finendo però per farla apparire deleteria, innaturalmente centrale e per questo quasi tossica. E’ una spiegazione plausibile? Chissà.

Di certo chi scrive pensa esattamente all’opposto di Carradori e di Vice. E cioè pensa che, pur con tutti i difetti innati, la toscanità sia uno straordinario stato dell’anima per attraversare la vita, non accettando verità costituite e ribellandosi alle convenzioni più diffuse. Un dono non una condanna in una società che si appiattisce sempre più sul pensiero unico. Ma siccome il tema è vasto e non ammette censure, il dibattito è aperto. Lo seguirete nei prossimi giorni sulle nostre pagine. Buona lettura.

 

 

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