Lockdown ma non per gli avvocati

Federica

Vittorio

Stato di emergenza, "Avvocato, ho un problema…". In questo ultimo anno e mezzo, il leitmotiv della maggior parte delle conversazioni tra avvocato e assistiti è stato l’insieme dei problemi giuridici connessi alla pandemia e da essa determinati. La diffusione del Covid, infatti, oltre a travolgere il nostro Paese ha accresciuto esponenzialmente la conflittualità all’interno della società. Crisi familiari, violenze di genere, controversie in materie di appalti, inadempimenti contrattuali e ritardi nelle esecuzioni delle opere, aumenti delle posizioni debitorie, incremento dei procedimenti di sfratto e delle procedure esecutive, chiusure di diverse strutture ricettive ecc. In particolare, le vittime predilette della pandemia sono state le relazioni familiari e, più in generale, quelle affettive. Ed infatti, il lockdown ha imposto convivenze forzose tra coniugi e conviventi che hanno riversato lo stress nei rapporti endofamiliari. Nel caos generato dalla situazione emergenziale, i cittadini hanno riscoperto l’importanza del diritto, anche in termini culturali, riappropriandosi dell’idea per cui "ubi societas, ibi ius" (dove vi è una società, lì vi è il diritto). I fiorentini si sono trovati ad affrontare e a dover comprendere il significato di alcuni tecnicismi, uno fra tutti, la parola "d.p.c.m." e i suoi contenuti, dovendosi adattare alle nuove regole giuridiche del vivere comune e alle restrizioni alla libertà personale dove previste. A causa delle normative che si sono susseguite, il mestiere dell’avvocato si è dunque rivelato utile, sia come interprete dei dictat giuridici, che come consigliere e confidente, nonché garante dei diritti fondamentali dei cittadini. Citando le parole di Calamandrei: "Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. L’avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce".

*Studio Legale Firenze Ius

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