Lo strano suicidio del camorrista pentito

Era tornato dentro perché ‘socialmente pericoloso’. "Non è vero. E l’hanno suicidato", dice la convivente. Impiccato al letto con una maglia

Carcere (immagine di repertorio)

Carcere (immagine di repertorio)

Dicono che si sia impiccato con una maglia alla sponda del letto nella sua cella a Sollicciano. Ma Giuseppe Petroni, 54 anni, originario di Pignataro Maggiore, nel Casertano, già "appartenente al clan Lubrano affiliato ai Casalesi" scrive Donato Capece, segretario generale sindacato Sappe, "era un collaboratore di giustizia" L’ennesimo dramma dietro le sbarre sarà oggetto di approfondimento, la salma è a Medicina legale, il pm ha disposto l’autopsia, nei prossimi giorni.

"L’ennesimo suicidio di una persona detenuta in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono nei penitenziari" afferma Capece. La compagna (negli ultimi tre anni) di Petroni, 59 anni, pugliese d’origine ma da decenni trapiantata nel Parmense, concorda sul fatto che negli ultimi tempi l’uomo era molto prostrato. Dal 6 marzo, poi, non le era stato più possibile visitarlo per via dell’emergenza covid 19. E questo aveva peggiorato la situazione. "Aveva anche problemi di salute, si era ammalato" dice lei. Che pure non è del tutto convinta che abbia deciso di farla finita. "Era nel braccio riservato ai collaboratori di giustizia, 8 con lui. Però aveva timore, aveva chiesto di essere trasferito: a Vasto, oppure alla Dogaia di Prato. Io credo che l’abbiano suicidato: sapeva troppe cose..."

Intanto: perché Petroni, collaboratore di giustizia era tornato in carcere anziché rimanere sotto protezione? Dicono che dovesse scontare una misura di sicurezza perché ritenuto ‘socialmente pericoloso’.

La donna però dice cose diverse: "I suoi timori, forti, per la sua vita sono ricominciati quando dalla casa lavoro a Modena dovette andare, a novembre a Parma per testimoniare in videoconferenza. Incrociò un certo detenuto, mi disse di aver avuto paura. A gennaio lo portarono a Sollicciano". Cos’era accaduto nel frattempo? "Stava presso di me. In estate doveva andare a Napoli a deporre. Aveva un buon rapporto con gli ispettori di scorta ai processi. Salvo uno che ha fatto relazioni su Giuseppe che, mi assicurò lui, erano falsità. Non era vero che non volevo più che restasse a casa mia, né che di notte andasse a giocare nelle sale. Per un oltre mese lavorò con me, sveglia alle 3,30, per andare a fare le pulizie". L’avvocato Andrea Paolinelli difendeva Petroni: "Non posso parlare, aspetto l’autopsia". Per Giuseppe Fanfani, Garante regionale "la vita di un uomo merita più investimenti di un monopattino. Non è più tollerabile questa indifferenza".

giovanni spano

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