Marcello racconta il suo 11 agosto. «Arrivano i partigiani, siamo liberi»

Emozioni e ricordi della Liberazione nel diario di un bambino di 10 anni che abitava in piazza Beccaria. Boati che non finivano mai, la casa tremava, i ponti erano saltati. E fummo svegliati dai tedeschi»

Un'immagine della liberazione di Firenze

Un'immagine della liberazione di Firenze

Firenze, 11 agosto 2020 - Doveva essere città aperta, invece si è combattuto per le strade, dopo che i ponti sull’Arno, escluso il Ponte Vecchio che tanto non avrebbe retto al peso dei carri armati alleati, vennero fatti saltare la notte fra il 3 e 4 agosto '44. Settantasei anni fa, oggi, al suono della Martinella le formazioni partigiane passarono il fiume per raggiungere la linea del fuoco sui viali e iniziare la battaglia che, con il sostegno fondamentale dell’Ottava Armata britannica, permise di cacciare i tedeschi da Firenze. Marcello Chiappi aveva 10 anni ed era stato promosso in prima media, quando si ritrovò in casa prima i tedeschi e pochi giorni dopo gli inglesi, anzi gli indiani per essere precisi. Suo padre Gilberto aveva il negozio di fiori in piazza Beccaria e abitava al numero 1, dove ancora oggi vive Marcello, che di anni ne ha 86 e ha continuato fino al 1995 l’attività paterna. I suoi ricordi di allora, fissati in un diario, raccontano dettagli dell’emergenza e della battaglia per Firenze con gli occhi di un bambino: "Piazza Beccaria era sempre più vuota e il nervosismo si tagliava a fette, gli alleati si avvicinavano - scrive Marcello - Il 29 luglio gli abitanti intorno a via Por Santa Maria e via Guicciardini furono costretti a lasciare le case, che dovevano essere abbattute al posto del Ponte Vecchio. Il 3 agosto scattò l’emergenza, i tedeschi avrebbero sparato a chiunque si trovava per strada e a chi si fosse affacciato alle finestre. Chiusi in casa, si cominciò a fare una specie di inventario di cosa avevamo per poter andare avanti. La corrente elettrica andava e veniva così oltre a calcolare pasta, farina, pane, olio, formaggio, un salamino, 3 salsicce, si dovevano contare anche le candele. Con tutti questi calcoli, ancora non avevamo mangiato nulla. Erano quasi le nove, improvvisamente cominciarono una serie di boati che non finivano mai, ci ritrovammo spaventati per le scale, dall’ultimo piano avevano visto i bagliori delle esplosioni che venivano dal’Arno, erano crollati tutti i ponti". E la mattina dopo, la sveglia è data dai parà tedeschi che vogliono cercare un punto dove posizionare una mitragliatrice. Fortuna che nel palazzo di Marcello abitano due giovani donne di madre lingua tedesca, che si chiariscono con un ufficiale: "La notte del 10 agosto i tedeschi se ne andarono e l’11 non ricordo se udii il suono della Martinella, ma la vista dei partigiani che attraversavano la piazza ci allargò i cuori. C’era sempre più gente esultante, eravamo stati liberati. Ma poco dopo una cannonata colpì lo stabile di via Gioberti accanto alla farmacia Bargioni, poi incominciarono i colpi dei cecchini. La guerra sarebbe continuata". Così, nell’attesa Marcello e il suo amico Danilo, nel giardino sul retro giocano al Ciribè o con le pistole a elastico fatte in casa. "Correvano voci, già due giorni dopo l’11 agosto, che gli alleati stavano gettando i ponti bailey sulle macerie di quelli distrutti e che i partigiani spesso erano impegnati in scambi di colpi d’arma da fuoco con i tedeschi al Ponte Rosso e allo Statuto. I ponti furono completati velocemente e così arrivarono gli alleati anche in piazza Beccaria e si fermarono proprio alla nostra cantonata, dove piazzarono un cannoncino leggero con 5 o 6 militari addetti al pezzo. Ci apparirono un po’ strani, infatti erano indiani, anche se in testa non avevano il turbante, ma l’elmetto". © RIPRODUZIONE RISERVATA

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