La pace non può mai essere figlia della violenza

Francesco

Vermigli

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi: così si legge nel Vangelo di questa domenica (Giovanni 14,23-29). Ma che pace è quella che dona Gesù ai suoi discepoli? Perché è diversa da quella del mondo?

Quello che ci insegna il passato e i tempi cupi che viviamo, ci dicono come sia la pace che dà il mondo. Gli antichi lo dicevano: fanno il deserto e lo chiamano pace. Intendevano dire che qualche volta la pace è solo apparente, perché è conseguenza di un’opera di distruzione e di violenza. E dicevano anche: se vuoi la pace, prepara la guerra. Per intendere che la pace è instabile e che devi prepararti a rimetterla in discussione. La pace che dà il mondo è dunque una pace instabile e armata o il frutto della distruzione e della sopraffazione. E allora, che pace è quella che porta Cristo? La sua è il frutto della prossimità e della vicinanza: lo Spirito di Cristo è inviato per “stare accanto” a coloro che sono nel mondo. Nasce da una presenza che dona forza e conforto. Aggiunge Gesù: "Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore". Com’è possibile non essere turbati? Com’è possibile non aver timore? Se qualcuno mi dice queste cose, a queste cose io non ci credo. Ma se qualcuno mi dice queste cose facendosi prossimo, allora sì che ci credo. La pace che dona Gesù è conseguenza della prossimità e del conforto, non della distruzione (“e la chiamano pace…”). La pace che Gesù dona ai nostri cuori e alle nostre relazioni è stabile e forte; perché la pace che dona Gesù nasce dalla sua fedeltà.

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