"La mia villeggiatura? Il sogno era giocare" Il lessico familiare estivo di Dacia Maraini

Dall’Italia al campo di concentramento in Giappone: "Non s’immagina l’importanza per un bimbo di sentirsi parte di un nucleo compatto"

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di Titti Giuliani Foti

"Il tempo delle abitudini appare eterno, ma nel ricordo ha la durata di un attimo".

Che sia breve o meno, in campagna o al mare, la villeggiatura si dovrebbe fare ancora. A mettere in scena i sollazzi e le attese di chi raggiunge i luoghi fuori dalle caotiche città ci pensava già il commediografo Carlo Goldoni nel Settecento. Dacia Maraini, la dolcezza di una vita piena e risoluta, senza traccia di noia. Quando scrive, lontana e presente nello stesso tempo, vive in un certo senso sprofondata dentro la sua bellissima mente. Nessuna come lei lavora coi suoi ricordi, con i conflitti, con gli errori e forse con le espiazioni, coccolando quei sogni trascorsi e le paure sopite.

Dacia da bambina: che senso aveva la parola villeggiatura?

"Da bambina, prima dei sette anni era la gioia di partire per la montagna, ma sempre vicino

a un lago o un fiume dove ci si bagnava e sopratutto si camminava fra gli alberi, cosa che cerco di fare ancora ogni estate. Dai sette ai nove anni è stato l’incubo del campo di concentramento in Giappone. Non esistevano più le stagioni ma solo la fame disperata, la paura delle bombe e un sentimento di paura e di morte che mozzava ogni respiro".

C’erano riti o luoghi che si ripetevano e che ancora oggi ricorda?

"Avendo cambiato paese e casa tante volte non ho avuto riti ripetuti. In Giappone, prima del campo, si andava a Karisawa, un bellissimo posto di montagna con larghi fiumi e cascate. In Sicilia ricordo un mare pulito e la gioia di tuffarsi dalle rocce nelle onde più alte e pericolose, era un sfida".

Come sono nate le sue prime amicizie estive?

"Le amicizie giapponesi sono rimaste, pure nella lontananza. Keiko, una ragazza dolcissima, è ancora una amica che ogni tanto vedo e con cui ci scriviamo. Gli amici siciliani sono tanti e con molti ci frequentiamo

tutt’oggi".

Ricorda lo stare insieme con genitori e sorelle?

"Certo, i momenti più belli erano quelli in cui ci si sentiva parte di una famiglia unita, solidale e affettuosa. E forse sono gli anni della prima infanzia. Poi, non si sa come, le famiglie si rompono e ciascuno va per i fatti suoi. Per un bambino è un trauma. Non si immagina quanto sia importante per un bambino sentirsi parte di una famiglia compatta sia dal punto di vista sentimentale che sociale".

Ricorda un passatempo infantile che la riporta a quei momenti?

"Tanti giochi. In Giappone giocavo a nascondino, oppure a cucinare o fingere di cucinare pasti per la comunità. In Sicilia giocavo con le onde e con le profondità del mare in cui mi immergevo per pescare ricci. A Firenze, nel collegio della Santissima Annunziata – al Poggio Imperiale – giocavo a palla rubata con le compagne, ma anche facevamo teatro . Ero già più adulta. Sono stata nel bellissimo collegio del Poggio per tre anni di seguito, dai dieci ai tredici anni. E conservo dei ricordi intensi. Anche di passeggiate per il centro di Firenze, chiusa nella mia divisa grigia col colletto bianco. E la gioia di stare insieme con le mie compagne, ridere di noi e del mondo".

Il mare la montagna viaggiare: cosa preferiva baby Dacia?

"Ho sempre amato la montagna, ma con vicinanze di acque scorrenti. Sono una appassionata di boschi, i luoghi del mistero e della sacralità, che per gli antichi rappresentavano il centro degli incontri col bene e col male. I boschi sono i luoghi simbolici delle fiabe. E io amo le fiabe, ascoltarle e raccontarle".

Un padre speciale e una mamma splendida. Che ricordi ha di loro in quelle estati?

"Mio padre Fosco e mia madre Topazia erano molto portati allo sport. Tutti e due bravissimi sia

sulla neve che in acqua. Mi hanno insegnato a non avere paura, ad affrontare con coraggio qualsiasi difficoltà, conservando sempre il rispetto per la natura e le sue bellezze".

Qual era il sapore della sua merenda preferita?

"Mia madre mi preparava delle fette di pane col burro e lo zucchero. Una merenda da poveri ma certamente meglio delle merendine confezionate di oggi che sono piene di additivi chimici".

Da bambina in questo periodo di villeggiatura avrebbe immaginato di diventare Dacia Maraini?

"Certo che no. Io volevo solo giocare, perdermi nei boschi fiabeschi e imparare tante cose della vita che mi erano oscure".

Cosa sognava per la sua felicità?

"Sognavo di essere indipendente, di viaggiare. E di conoscere il mondo".

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