La guerra, due bambini di ieri e un film oggi

La storia nell’Alto Mugello di una famiglia sopravvissuta ai bombardamenti. La nipote Sofia: "Per non dimenticare l’orrore della guerra"

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di Paolo Guidotti

"Questa storia non deve essere dimenticata. Perché è più difficile desiderare la pace se non si sa cos’è la guerra". Sofia Vettori sa di cosa parla. Le sue origini sono firenzuoline, un paese dell’Alto Mugello che nel settembre del 1944 fu praticamente raso al suolo da un bombardamento alleato. E i suoi familiari furono protagonisti di una vicenda che di recente la donna ha voluto raccontare con un cortometraggio semplice e toccante, "Quello che conta", firmato insieme ad Alex Class. Un viaggio nella memoria, dedicato ai bambini che la guerra non l’hanno conosciuta, e incentrato su due bambini che furono sepolti vivi dal bombardamento che distrusse Firenzuola. Due bambini, divenuti ottantenni, che davanti alla telecamera hanno raccontato. Il loro padre era un liutaio bravissimo. Dario Vettori, il "liutaio della montagna".

"Mio nonno era un bastian contrario - racconta Sofia-, un artista". Talmente bastian contrario da voler da rimanere in paese, mentre tutti gli altri fuggivano avvertiti dai tedeschi, che ci sarebbe stato un bombardamento. Firenzuola era pressoché deserta quella mattina, quando cominciarono a piovere le bombe. In casa c’erano Dario e la moglie Dina, e i loro quattro figli, uno nato da poco tenuto in braccio dalla madre. Riuscirono a rifugiarsi in una cantina, ma la casa crollò e li seppellì. Salvi, ma prigionieri delle macerie. Dario Vettori iniziò a scavare disperatamente, a mani nude. E alla fine una porzione di detriti franò, ed entrò un raggio di sole. La fessura era piccola ma un bambino di nove anni ci poteva passare. Giovanni ce la fece, e tirò fuori anche la sorella Giuliana che tutti chiamavano Bibi. Per mano, tra le macerie ancora fumanti chiesero aiuto. C’erano due soldati tedeschi, che si adoperarono per liberare la famiglia imprigionata.

Il film racconta tutto questo, con le parole dei due bambini divenuti anziani: Bibi poi è morta poco prima dell’uscita del film. E lo raccontano con grande delicatezza, quasi parlassero ancora i bambini: il dolore per la bambola rimasta sotto le macerie, la madre che si prese cura di un soldato tedesco ferito, gli stessi tedeschi che invitarono gli abitanti del paese a mettersi in salvo, l’arancia donata da uno dei primi soldati americani arrivati. E’ uno dei messaggi forti del film: "E’ l’umanità che potrà salvarci, la capacità di essere umani", dice Sofia Vettori. Venti minuti di racconto, accompagnato dalla musica originale composta da Andrea Mura. Musica per quartetto d’archi e pianoforte e non poteva essere che così per la storia di una famiglia di liutai. Anche Paolo Vettori, che nascerà alcuni mesi dopo – il padre di Sofia-, è provetto liutaio nella sua bottega fiorentina. Appare nella parte finale del cortometraggio. E non a caso, perché anche il suo è un viaggio della memoria, il tornare, per la prima volta, nei luoghi dove i suoi genitori e i suoi fratelli vissero dopo il bombardamento, rifugiati sotto un grande masso, sui monti. Una memoria ancora viva, e che gli eventi rinnovano e amplificano: come quando si vide arrivare nella sua bottega una famiglia di americani. Avevano un violino, un violino di suo padre, il quale lo aveva scambiato con un soldato, per un sacchetto di caffè. E poi il ritrovamento dei luoghi di sfollamento. "L’idea – è nata in quel momento – dice Sofia-. per condividere con altri, attraverso un film, l’esperienza. Sotto quel masso erano andati a vivere anche diversi bambini, che avevano perso tutto, e ho pensato al mio, a come dargli, nel modo giusto, la consapevolezza di cosa sia l’orrore della guerra".

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