La città del No tifa sempre per l’immobilità

Stefano

Cecchi

No, no, no. A me parrebbe che le ipotetiche scale mobili, destinate a portare senza fatica la gente da San Niccolò al Forte Belvedere (nella foto) passando per la meraviglia di Villa Bardini, tutto sarebbero tranne che un mostro urbanistico destinato a svilire la città, anzi. Lo stesso non mi sorprende che di fronte alla proposta si sia registrata l’ennesima ondata di "No" scandalizzati, ognuno con la propria motivazione personale. C’è stato così il filosofo che ha magnificato la bellezza delle salite fatte lentamente. C’è stata la guida turistica disperata all’idea che i turisti con le rampe mobili evitino di ansimare nell’ascesa lungo Costa Scarpuccia. Ci sono stati i genitori di una scuola materna terrorizzati all’idea dei possibili danni che l’impianto arrecherebbe al bosco di bambù dove pare abbia dimora lo gnomo pignolino. Motivazioni più che nobili, per carità. Ma non sorprendenti. Perché a Firenze oramai ogni volta che vien proposto di realizzare qualcosa di nuovo, il vento contrario dei "No" si alza inevitabile e fortissimo, come se in città avesse preso residenza la bambolina anni ‘60 di Michel Polnareff, quella così carina che però faceva sempre "no, no, no". Che sia la nuova pista dell’aeroporto o la terza corsia dell’A11, che sia lo stadio ovunque lo si fosse pensato (Campi, Mercafir, area Fondiaria o lo stesso restyling di Campo di Marte) una pensilina del tram o persino il prolungamento di qualche giorno di una giostra alla Fortezza, la città dei "No" emerge sempre rombante e combattente, vincendo spesso la disfida ma lasciando il dubbio se a determinare la contesa sia stata la difesa del passato o la paura del futuro. Così, mentre da altre parti in Europa non hanno avuto timore a deviare corsi di fiumi per allestire nuovi quartieri tecnologici, noi abbiamo optato per lo status quo: tutto resti fermo, tutto rimanga immobile. Che può anche andare bene come filosofia. Basterebbe poi non lamentarsi quando, oltrepassando le Alpi, tocchiamo con mano la differenza fra chi prova a intercettare il futuro e chi invece preferisce tutelare lo gnomo pignolino. Ma figurarsi se la città della bambolina di Michel Polnareff non scuote la testa anche in questo caso. Firenze del terzo millennio, condannata a restare allo stesso tempo immutabile e polemica al ritmo monocorde della sua nenia: no, no, no...

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