La cartuccia nell’orto di Pacciani. I dubbi restano, trent’anni dopo

Il 29 aprile del 1992, durante la maxi perquisizione a Mercatale, spuntò la “prova“ contro Pietro Pacciani

Perquisizioni nell'orto di Pacciani

Perquisizioni nell'orto di Pacciani

Firenze, 29 aprile 2022 - Trent’anni. Trent’anni sono passati dal 29 aprile del 1992. Trent’anni che non sono bastati a definire la posizione di Pietro Pacciani né tanto meno a chiudere il cerchio sui sedici omicidi del mostro di Firenze. Trent’anni che hanno alimentato, poi, un mistero nel mistero: quello della cartuccia nell’orto di Mercatale Val di Pesa.

Oggi, per quel reperto, c’è un fascicolo per depistaggio. Alimentato dalle conclusioni che il consulente balistico della procura, Paride Minervini, ha vergato sulla perizia che ha preso in esame, per la prima volta, tutti i reperti balistici degli otto duplici delitti. Ma chi può aver artefatto quella prova? Probabilmente anche questo resterà uno dei tanti enigmi di questa storia. Ma se l’indagine, a carico di ignoti, aperta dal procuratore aggiunto Luca Turco non farà strada, resta comunque un dato che segna e macchia gli anni della “caccia al mostro“.

Il 29 aprile 1992. La perquisizione in via Sonnino era cominciata da un paio di giorni. Il capo della Squadra anti mostro, Ruggero Perugini, recentemente scomparso, guidava personalmente i suoi uomini, “armati“ anche del metaldetector. Qualche mese prima, in una delle sue tante lettere spedite anche a La Nazione, l’“anonimo fiorentino“, misterioso avvelenatore di pozzi che gridava al complotto contro il contadino e metteva in dubbio la correttezza degli inquirenti, aveva suggerito agli avvocati del presunto mostro di anticipare gli inquirenti in quella mossa. E dunque “bonificare“ il giardino per prevenire l’interramento di una pistola.

Ma dalla terra dove Pacciani piantava i pomodori, spuntò davvero un "gingillo". Da un paletto da vigna in cemento, che il Vampa aveva messo di traverso come per delimitare un’aiuola, scintillò del metallo. Pacciani ci mise un po’ a capire quello che gli stava accadendo, impegnato com’era a maledire chi gli stava rovinando il seminato.

Era una cartuccia calibro 22, la medesima Winchester con la H sul fondello, stesso tipo e modello di quelle che avevano firmato tutti gli omicidi del mostro, dal 1968 a Signa, fino al 1985 a Scopeti.

Il bossolo aveva dei segni. Per i periti dell’epoca, o almeno per alcuni, erano i segni dell’incameramento in una pistola. Anzi, nella pistola: la Beretta che s’aggiunge alla lunga lista dei misteri. L’arma non è mai stata ritrovata. Ma il perito Minervini suggerisce implicitamente che possa essere stata cercata male. Già, perché è stata sempre indicata una semiautomatica della serie 70, quando invece, secondo il consulente della procura, potrebbe pure essere un modello della serie 48. In trent’anni, nessuno se n’era accorto.