Staino: "Io, bimbo di montagna sognavo il mare. La villeggiatura era poca e di sfuggita"

Sergio Staino e l’infanzia cercando le onde: "Il dottore mi disse che ero rachitico e mi spedì in spiaggia. La prima volta fu bellissimo"

Sergio Staino

Sergio Staino

Firenze, 15 agosto 2021 - "La villeggiatura? Poca e di sfuggita. Il mio sogno era il mare: sarà perché sono nato in montagna a Piancastagnaio. E mi parlavano, del mare, del mare, del mare e non sapevo cosa fosse questo mare. Mia mamma Norina era una giovane contadinella cresciuta a Scandicci, vicino alla villa degli Antinori, che c’erano già quando ero piccolino. Buffa la memoria, dove ci illudiamo di essere speciali, e invece siamo normali".

Sergio Staino con le sue vignette ha reso la quotidianità materia di consolanti, intimi, geniali comizi con nuvolette, e non solo quando godeva dei privilegi della giovinezza. Oggi a ottant’anni è un giovanotto con molto fiato, muscoli, coordinazione, resistenza e un’energia che non si lascia limitare.

Staino, la parola villeggiatura nei suoi ricordi che senso ha?

"Il primo che mi viene in mente è questa voglia di vedere e capire il mare. D’estate da Scandicci, gli Antinori prendevano i contadini della zona e li portavano a lavorare a Bolgheri. Sul mare venivano portate anche le donne e così anche la mia mamma assieme alle altre andava sulla spiaggia e al ritorno mi raccontava di quanto fosse bello questo Bolgheri, con tanta acqua".

E lei quando lo vide il mare?

"Nel ’44 quando fu liberata Firenze e si tornò con un camion, stipati sulla cupola di masserizie. Arrivati sopra a quello che oggi è il Ponte alla Vittoria vidi tutta quell’acqua e dissi: ecco il mare mamma! E lei: ma no! Questo è l’Arno, un fiume. Il mare è molto più grande".

Dunque?

"Aspettai di avere otto anni, e di sentirmi dire dal dottore che ero rachitico e che dovevo andare, appunto, al mare. Il primo fu quello di Antignano. Scelta non facile per il figlio di un carabiniere e di una donna umile come mia madre. Ricordo il contatto bellissimo con l’acqua, i primi passi tra i sassi e la paura dei favulli, gli enormi granchi pelosi che se uscivano dai massi, ti mangiavano i piedi".

Con chi andava?

"Con la mia cuginetta che per farle mangiare il pesce le inventavano che fosse coniglio. Diceva: buono questo coniglio e io ridevo. Non è mai stato facile dare il pesce a un bambino".

Estate, ripetizione degli stessi rituali: ricordi di cuore?

"Per me era più facile andare con i nonni a Montesenario o sulla Bolognese: bastava ci fosse un po’ di fresco, si stava bene. Un paio di stagioni ricordo di averle passate a Chitignano in Casentino. Mi divertivo? Stavo bene, diciamo. Per giocare trovavo bambini come me. Ma il meglio doveva ancora arrivare".

Quando è arrivato il meglio?

"Per me nel ’56 a Punta Marina vicino a Ravenna. E’ li che con degli amici si fece amicizia e si conobbero le prime ragazze. C’erano i juke box con i dischi di Harry Belafonte e le canzoni fiorentine di Narciso Parigi. E puntuale, arrivò anche la prima fidanzatina, Marinella Davoli che era di Reggio Emilia, molto carina".

Non mi dica che la ricorda ancora.

"Come no? Mi insegnava come si baciava perché non lo sapevo che c’era da aprire la bocca per scambi più ravvicinati. Decidemmo subito di sposarci: fu un amore vero e pazzesco".

E quando finì la vacanza?

"All’epoca abitavo a Rifredi e lei a Reggio Emilia, non era facile spostarsi. Lo stesso anno Francesco Guccini a Pavana aveva trovato una fidanzata fiorentina di Rifredi: ad averlo saputo, gli ho detto per ridere, ti avrei dato la mia, ce le scambiavamo".

Staino, finita la scuola cosa succedeva?

"I miei lavoravano. Ricordo bene il grande impegno nei campi della famiglia. Mio nonno aveva un numero spropositato di galline, più di quattrocento, e vendeva le uova ai negozi di Firenze. Tutte queste uova andavano timbrate: per cui anche io ero mobilitato al lavoro, era molto divertente".

E con gli amici della sue età?

"Vivevamo sulla strada, ci tufffavamo nell’Ema alle Cascine del Riccio. Le mie vere vacanze erano fatte così, non organizzate da nessuno, si faceva quel che c’era o si poteva fare. Compreso andare lungo il Mugnone a fare altri bagni, e inventarsi giochi da bambini poveri e felici".

La villeggiatura per lei che significato ha?

"Ha soprattutto un anno: il ’59, quando ho fatto il primo viaggio in Lambretta con un amico e sono arrivato a Parigi. Poi nel ’60 che con una cugina arrivammo in autostop fino a Londra, in tempi in cui era facile e bellissimo. E poi c’è stata la vera vacanza, per me una pietra miliare: quella del 1961 a Baratti, dove vado ancora perchè mi ricorda quello straordinario periodo di spiagge deserte, di mare aperto e libero. Villeggiatura ha solo un significato per me: andare in giro conoscere posti e gente".

C’è stato un momento in cui si è accorto che sarebbe diventare Staino il grande disegnatore?

"Ero un bambino a cui bastava una punta di lapis e una superficie per tracciare un segno ed essere felice. Mia mamma aveva capito che così sarebbero sparite tutte le mie paure. A tre anni ho iniziato a disegnare proprio con lei, che non sapeva più quale storia leggermi e quale fiaba raccontarmi. E grazie a lei anche oggi trasformo la ripetizione degli stessi rituali in un ritmico specchiarsi fra loro".

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