Il caso tavolini Perché Firenze non è Parigi

Stefano

Cecchi

Non so se sarà il generale inverno a risolvere il problema, visto che con pioggia e vento mangiare fuori non è poi così piacevole, ma certo la vicenda dei tavolini all’aperto che hanno fatto del centro di Firenze una Trastevere innaturale, necessita di una riflessione che va oltre il lodevole annuncio del Comune di voler rivedere il tutto dal 1° gennaio. Perché la situazione fotografa un disagio ben più profondo che non un semplice problema di decoro. Consentire di consumare all’aperto non è infatti per forza un inciampo o un attentato al buon gusto. Chi è stato recentemente in un’altra magnifica città d’arte qual è Parigi lo sa bene. Lì, da anni, le brasserie, i caffè, i bistrò con i loro immancabili tavolini all’aperto che, secondo Zola, consentono a grandi folle silenziose di guardare da seduti la vita fluire nelle strade, non sfregiano la bellezza complessiva del luogo ma, al contrario, la esaltano. Perché dietro ogni tavolo, dietro ogni sedia ci fosse seduto Moliere, Voltaire o un turista dell’Arkansas, sembra sempre di vedere uno stile, un gusto, un’anima che lega il commercio all’essenza del luogo senza svilirne la magia. Potremmo dire lo stesso di Firenze? Con i suoi tavolini da trattoria romana sotto la Cupola del Brunelleschi, le sue pizze all’ananas e i suoi gelati idrogenati serviti ovunque, Firenze sembra aver fatto di tutto negli ultimi 20 anni per cancellare se stessa, confondendosi in un indistinto cialtrone e senz’anima, figlio della confusione del tempo. Altro che Giubbe Rosse e intellettuali spariti: l’emergenza Covid, con le sue deroghe e le sue concessioni, altro non ha fatto che mostrarci plasticamente come questa città, quasi senza rendersene conto, abbia venduto la sua anima al diavolo del commercio, diventando altro. Senza più un respiro, un afflato, un filo comune che la rendessero unica e distinguibile. Firenze fine 2021, uno dei tanti luoghi uguali del mondo dove dove anche le poche tradizioni rimaste, dai lampredottai alle vinerie rimaste, sembrano solo macchie di colore folkloristiche e non il segno di una unicità. I tavolini all’aperto, insomma, non sono la malattia ma il termometro che dimostra la febbre. Un problema molto più grande, difficilmente guaribile con un solo regolamento.