Ho sognato una Firenze che non c’è più

Sandro

Rogari

Anch’io, come Shakespeare, ho fatto un sogno di mezza estate. Ho sognato una Firenze che non c’è più. Quella dei fiorentini che la abitano, la vivono come una propria creatura, a partire dal centro. Ho sognato di andare al cinema, come usava un tempo, soprattutto il sabato sera, al Gambrinus o all’Edison, sotto i portici. Parcheggiavamo l’auto in piazza della Repubblica davanti al Paszkowski. Il problema del parcheggio era inesistente. Il centro non era un’isola sempre più chiusa e protetta, come è accaduto poi, sempre più, di anno in anno. Fino a farne un’area che espelle i residenti per le condizioni impossibili di vita quotidiana. Come e perché sia accaduto, non ce ne siamo neppure accorti. Poi, ad un tratto, abbiamo scoperto che il centro storico (ma allora l’aggettivo “storico” non si aggiungeva, era centro e basta) tanto amato dai fiorentini non era più nostro. D’un tratto abbiamo scoperto che se ne erano impadroniti nuovi cittadini del mondo che venivano da lontano e cambiavano in continuazione. Volti che scrutavano ogni angolo, fotografando tutto, anche l’irrilevante; magari senza guardare, quasi rinviando al dopo, al ritorno a casa, la contemplazione della bellezza in fotografia. Ci siamo scoperti anfitrioni per caso. Per lo più contro voglia. Perché noi, fiorentini di periferia, in centro ci sentivamo a casa. Anzi, abitare oltre i viali ci faceva sentire talora estranei al cuore di Firenze. Ai margini. Il centro era la nostra casa comune, dove trovavamo i nostri riferimenti identitari: Palazzo Vecchio, il Duomo e via discorrendo. Ma anche quei negozi che erano la nostra peculiarità. Nessuna catena di grandi griffe. Seeber piuttosto che Neuber piuttosto che il Principe. Il “salotto buono” di via Tornabuoni era tutto nostro. Ora è rimasto solo Procacci a tenere alta la bandiera di una fiorentinità perduta. Così va il mondo. Ad un tratto per sentirci fiorentini si doveva cercare la periferia, oltre i viali che dai tempi di Firenze capitale incorniciano la città e ne fanno una piccola Parigi, là dentro, in quel piccolo fazzoletto di terra. Ho fatto un sogno; ma i sogni muoiono all’alba e anche questo è svanito.

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