Gkn, quattro proposte sul tavolo del Mise

La prossima settimana in programma l’incontro promesso dalla proprietà. Ma gli operai non ci credono: chiedono serietà e proseguono le proteste

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di Barbara Berti

Ridisegnare il futuro della Gkn: gli operai ci stanno lavorando, l’azienda ha già quattro ipotesi. Il giorno dopo la lettera che la proprietà di Gkn, il fondo finanziario inglese Melrose, ha inviato al Ministero dello sviluppo economico dichiarandosi disponibile a illustrare, prima a Invitalia, e poi a tutte le parti in causa, le quattro manifestazioni d’interesse raccolte dell’advisor Francesco Borgomeo, il piano di reindustrializzazione del sito campigiano tiene banco su più fronti. Fonti vicine al Mise fanno sapere che l’incontro non avverrà prima della settimana prossima, ma intanto i sindacati e gli operai continuano la battaglia per la difesa della fabbrica di viale Fratelli Cervi e per i posti di lavoro. La Cgil, sulle ipotetiche manifestazioni di interesse, ribadisce "la necessità di trasparenza e di confronto nei modi e nei luoghi opportuni, senza ricatti e giochi delle tre carte". E chiede che il piano di reindustrializzazione, oltre a essere "serio, concreto, credibile e legato allo sviluppo della sostenibilità ambientale, tenga in considerazione il futuro occupazionale di tutte le lavoratrici e i lavoratori compreso quelli degli appalti e dei servizi legati al sito produttivo" dichiarano Silvia Spera (Area Politiche industriali Cgil Nazionale) e Elena Aiazzi (segreteria Cgil Firenze).

In fabbrica, intanto, la lotta continua. Da un lato gli operai ribadiscono la necessità di uno sciopero "generale e generalizzato", dall’altro lato si concentrano proprio sul piano di reindustrializzazione. In vista dell’assemblea del 5 dicembre per il polo pubblico della mobilità sostenibile, il Collettivo di Fabbrica rende pubblico l’appello di economisti solidali con la lotta Gkn. Secondo loro il caso della Gkn ricalca "le classiche storture di un sistema economico fondato sulla totale libertà dell’impresa: libertà di comprare, licenziare e chiudere uno stabilimento perfettamente funzionante, aprendo una crisi dove non c’era. Un caso da manuale, inoltre, di imbarazzo della politica e di assenza dell’intervento dello Stato". Per gli economisti "il futuro dello stabilimento è a un bivio: da una parte la potenzialità di diventare luogo di questo ripensamento, laboratorio di riconversione, tutta da costruire; dall’altra la triste sorte di ennesimo ecomostro". Così, dopo i giuristi e gli ingegneri solidali, anche gli studiosi di economia si mettono a disposizione per "immaginare e costruire collettivamente un futuro che unisca sostenibilità, innovazione e condivisa utilità sociale".

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