Gkn, una notte con gli operai, tra angoscia e rabbia: "Vogliamo solo tornare a lavorare"

Viaggio tra i dipendenti in presidio alla Gkn contro i 422 licenziamenti. Chi rinuncia alle vacanze e chi pensa solo ai figli piccoli

Un uomo dorme davanti ai cancelli della Gkn (Fotocronache Germogli)

Un uomo dorme davanti ai cancelli della Gkn (Fotocronache Germogli)

Firenze, 15 luglio 2021 - Ma lo sa poi che la mi’ figliola mentre io qui perdo il lavoro è tornata a casa con tutti 9 nella pagella? È brava vero...?".

Michele è operaio minuto. Però lo chiamano l’uomo tigre perché una volta si spaccò un braccio e non se ne accorse nemmeno. Sfiora appena le labbra a parlare, soffia via le parole con gli occhi bassi nell’aria gommosa della piana fiorentina e noi, con il taccuino già in tasca per la furia del mestiere, ci sentiamo perfino cattivi ad averlo lasciato orfano d’inchiostro nella sua frase più vera.

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E atroce e dolce. Quando venerdì pomeriggio è tornato a casa sua, a Pistoia, con lo smartphone in tasca dove c’era scritto sopra ‘ci dispiace, ma lei non ci serve più’ - una mail ghiaccia come la plastica che a 49 anni gli ha sbatacchiato giù il muso con gli occhiali da uomo perbene sul cancello della Gkn di Campi Bisenzio - la Maria Pia, germoglio di figliola di diciott’anni appena, gli ha detto subito: "Oh babbo, stai tranquillo. Ora ci servono i soldi da metter da parte. A Rimini con le mie amiche non ci vado più, chi se ne frega...".

"No amore - gli ha detto lui - te la meriti la tua vacanza, trecento euro non mi cambiano nulla. Ti devi divertire. Poi si starà vedere...". Scende una notte di luglio fresca e senza vento nel piazzale della Gkn - ammiraglia internazionale della componentistica di automobili, pure di livello alto - un rettangolone d’asfalto e siepi basse ritagliato nella pancia molle della piana dove i comuni di Firenze, Prato, Campi e Calenzano s’infilzano vicendevolmente i gomiti nelle costole anonime di una terra di mezzo fatta di svincoli e fughe da fermo - come diceva il Nesi Edoardo, scrittore big di queste parti - sfarzosa e cafoncella, spezzettata da scatoloni di muri, cartongessi e vetrate dove dietro scintillano divani bianchi latte, a volte Bmw e Volvo e cucine luccicanti.

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Scende fresca l’aria dal monte Morello dopo la risciacquata d’acqua e vento della mattina e accarezza, prudente, il sangue bollente di questa gente che l’altra mattina ha sbloccato il touchscreen del telefono al mare in giorno di ferie con il dito sudato e ha scoperto che: ‘ciao, ciao ragazzi’, al fondo Melrose Industries dei vostri mutui, pannoloni, biscotti al latte e bollette del gas interessa giusto il tempo di riempire il corpo di una mail e digitare invio.

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Stanotte a cazzottare il cielo in cerca di giustizia da un padrone digitale e invisibile ci sono una cinquantina di lavoratori. Operai, magazzinieri, manutentori, portinai. Pure l’indotto è in trincea. Lotta dura senza paura si sarebbe detto un tempo.

Ora più prosaicamente ci si arrende a un "non molliamo e vediamo se ci si salva il c... che a questo giro è tosta davvero". Intanto - tra una valanga (generosa offerta libera di Coop, botteghe e associazioni varie) di penne al sugo rosso in pentolone, pollo con le melanzane nei box di plastica, pizza con la salsiccia, birre tiepide, vino in cartoni e "cesti di albicocche che c’hanno portato i contadini di qui" - alla Gkn si "difende il perimetro" da "questi della security che arregola deve aver pagato la proprietà".

"Gente strana - dice Andrea ("ma mi chiamano il barba"), 43 anni, buccole a sfare, la faccia grossa e pulita della spianata verace (da Firenze a Pistoia) - sono cinque giorni che gironzolano qui intorno. Fanno foto, fanno video, si vede che hanno i tirapugni nascosti sotto i calzoni e hanno dei braccioni tatuati che fanno spavento a guardarli".

Fanno le ronde gli operai della Gkn, polverizzati da 422 a zero in una mezza mattinata. Occupano la fabbrica ("piena di roba nuova da milioni di euro") per resistere in attesa dei tavoli romani - stanotte sono una settantina, e alle 6 "arrivano quegl’altri" - come quando hanno aperto a braccia il motore del cancellone, venerdì alle 11.06, per non mollare il territorio, per tentare la carta della disperazione.

"Presidiamo perché non abbiamo capito chi c’è qui intorno che ci controlla, cosa ci vuole fare la multinazionale. - dice Felice, calabrese trapiantato a Prato, gli occhi sinceri da Tanino 4.0 di Virzì - Noi non vogliamo alzare un dito contro nessuno, solo tornare alle nostre macchine a lavorare come si fa da vent’anni".

Dario, maglietta bianca e calzoni un po’ in su, tira le fila. "Non facciamo bischerate ragazzi. E non bevete che la notte è lunga e poi si rischia di fare bischerate". Alle una qualcuno si appisola già sulle sdraio e i teli appoggiati sull’erba tra il palazzo della mensa e la fabbrica, qualcuno invece alza le pretese e strappa via risate di nervi scosssi.

"Mi porti una birra? Una di quelle un po’ meglio?" chiede un operaio sui trent’anni. "Diamine, o come la vuoi? Doppio malto? Che siamo in ferie?". Roberto si sposta la zazzera. Ha 44 anni ma ne dimostra dieci meno: "Si va avanti finché si può. Non può finire così. Qui c’è gente che ha firmato mutui per la casa pochi giorni fa, ragazzi che hanno mogli incinte. Non si può sparire così...".

Alle 2 Lupetto, classe 1964, barba a treccia, la prende larga. "Qui c’è un modello darwiniano di economia...". "Ma che vai a letto o no?" gli berciano. Lupetto resta sul pezzo: "Sì, ma comunque ogni epoca ha le sue letture. Io per esempio preferivo il dadaismo al futurismo".

Ah, perché? "Troppo fascistelli quegli altri". Salta fuori un pallone. E - perché no? - due palleggi?. "Si va avanti a oltranza - dice Franco - io sono qui da ventisei anni, non esco da questo cancello se non mi spiegano perché non servo più a nulla". Felice beve un gotto di vino rosso a sedere su uno scatolone rigido e marrone.

"Qui dentro ci vanno anche i semiassi per le Ferrari – sospira– ma ora son vuoti"."Resistere un minuto in più del padrone" sta scritto su uno striscione appeso fuori dalla cancellata guardata a vista da un paio di operai e da Cataline, rumeno quarantenne che walkie tolkie alla mano ci dice "Chi ci ridà i soldi ora? Io ho una bambino... Uno stipendio da mille euro oggi l’è ‘grassa’ se si ritrova".

"Io resisto - bofonchia Francesco con l’ultima forchettata di pasta fredda - resisto però poi voto la Lega, ve lo dico". Coro: "Vai a letto, vai". Controcoro: "Io vo a letto ma voto la Lega uguale". Sipario. Illuminato dalle luci bugiarde della piana.