Giustizie diverse per Duccio Dini e Niccolò Ciatti

Stefano

Brogioni

L’undici giugno del 2018, per le conseguenze irreparabili di un incidente avvenuto il giorno prima nel corso di un inseguimento fra famiglie rivali, ci lasciava, a soli 29 anni, Duccio Dini. Era sul suo motorino, in direzione lavoro, quando si trovò nel mezzo a quella carambola sciagurata. Dieci mesi prima, Firenze aveva pianto un altro suo giovanissimo figliolo: Niccolò Ciatti, che di anni ne aveva ancora meno (22), pestato brutalmente da una banda di energumeni ceceni mai visti prima di quella maledetta notte a Lloret de Mar.

Le storie di Niccolò e Duccio sono anche casi giudiziari. Simili, ma differenti. Per l’omicidio di Duccio Dini, l’iter processuale è quasi concluso. Sette imputati, sette condanne pesantissime, contestato il massimo contestabile (l’omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale, tradotto: andando a tutto gas in una strada trafficata come via Canova si sono presi coscientemente il rischio di poter investire e uccidere), con pene da 7 fino a 25 anni. Che saranno impugnate dai difensori, ma che difficilmente, dopo l’esito dei primi due gradi di giudizio, potranno essere scalfite.

Per Niccolò, i quasi quattro anni trascorsi non sono stati sufficienti neanche ad imbastire un processo in Spagna, tanto che il principale imputato (quello che sferra il calcio alla testa, immortalato nel video) sono addirittura scaduti i termini di custodia cautelare ed è tornato (semi)libero. L’udienza ci sarà a fine novembre, ma solo per due dei tre componenti della banda che Ciatti ebbe la sfortuna di incontrare. La legge spagnola non prevede l’ergastolo per l’omicidio, e, udite udite, non è previsto neanche un processo in contumacia. Quindi, se l’imputato non si presentasse - e l’ipotesi che si dilegui non è fantascienza - il dibattimento non comincerebbe neppure. Verrebbe voglia di scriverlo sugli striscioni, prima ancora di vedere l’esito del processo: ingiustizia per Niccolò.

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