Il dramma delle foibe, Enrico Rossi: "Abbiamo sminuito l'orrore, oggi non dobbiamo tacere"

Il Giorno del Ricordo celebrato in consiglio regionale

Foibe, una foto d'archivio storica

Foibe, una foto d'archivio storica

Firenze, 12 febbraio 2019 - "Il silenzio sulle foibe non era più giustificabile. Di questa dimenticanza oggi, noi non dobbiamo tacere, assumendoci le nostre responsabilità per avere negato, sminuito, l'orrore contro l'umanità rappresentato dalle foibe e poi il dolore dell'odissea dell'esodo". Lo ha detto Enrico Rossi in Regione, alla seduta solenne del consiglio regionale nella Giornata del Ricordo, che appunto ogni anno pone al centro dell'attenzione la tragedia delle foibe e delle popolazioni istriane e dalmate che furono perseguitate. 

«Solo un rinnovato progetto europeo, sostanziato di valori e capace di risolvere i problemi, può affrontare i nodi e lenire i dolori che la memoria del Novecento ci consegna, evitando, come un'assicurazione sul futuro, possibili disastri», ha poi detto Rossi. 

Quello istituito dal Parlamento nel 2004 è un riconoscimento dovuto alle vittime e ai loro congiunti», ha proseguito Rossi, un riconoscimento che «in precedenza era mancato». Il presidente ha ricordato inoltre le «parole feroci nei confronti degli esuli istriani e dalmati» scritte da Palmiro Togliatti nel 1946 sull'Unità, ma anche eccezioni, «come a Livorno, dove mille profughi furono accolti nella zona di Calambrone e nel quartiere Sorgenti. Il Comune e i carabinieri costituirono un fondo per l'acquisto di libri e altri materiali scolastici per aiutare i ragazzi». «La pace e i rapporti amichevoli che vogliamo costruire sempre più con la Slovenia e la Croazia non possono prescindere dal riconoscimento delle verità», ha concluso il presidente.

In aula anche la testimonianza di don Franco Cerri, parroco di Lunata (Lucca) originario di Zara, che ha ricordato la vicenda della sua famiglia. «Fummo costretti a lasciare, nel 1948, la nostra città di Zara e a venire come profughi in Italia, dopo che mio padre era stato ucciso dai partigiani jugoslavi semplicemente perché italiano».

 Poi l'esilio, a Gorizia e infine a Lucca, accolti dalla diffidenza della popolazione locale. «Eravamo come degli estranei per i lucchesi - ha detto - pur essendo italiani a tutti gli effetti». «È con grande sofferenza che si ricordano certe cose - ha concluso don Cerri - se pure nella speranza che non si ripetano mai più. Ma l'aria che tira non mi sembra buona»

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