Epatite dopo la trasfusione: risarcito

La giustizia arriva dopo 23 anni per un militare spezzino e altri 18 che avevano contratto il virus di tipo C

Trasfusione di sangue sbagliata: risarcimenti da 52mila a 100mila euro

Trasfusione di sangue sbagliata: risarcimenti da 52mila a 100mila euro

La Spezia, 22 giugno 2021 - Ventitré anni. Tanti ce ne sono voluti per chiudere la partita, col risarcimento della loro odissea causata da trasfusioni di sangue infetto in ospedale. Una battaglia che, in 19, quasi tutti spezzini, hanno tenacemente combattuto a dispetto di rinvii estenuanti, sentenze sfavorevoli e una serie infinita di schermaglie a suon di carte bollate. Alla fine però l’hanno spuntata, ottenendo cifre variabili fra i 52mila e i centomila euro.

In tutto, per il ministero della Salute, un conto da 1.150.000 euro. Il primo atto della tormentata vicenda giudiziaria risale al 1998: l’obiettivo di R.B., militare spezzino allora quarantacinquenne, poi diventato capofila di una sorta di class action, era ottenere il risarcimento per una infezione da Hcv (epatite C) contratta dopo una trasfusione di sangue. Oltre due decenni di battaglie giudiziarie tendenti, in sostanza, a dichiarare la responsabilità dell’Asl (poi uscita di scena) e del ministero della Salute, accusato di aver omesso la vigilanza sul sangue. A distanza di anni e di reiterate pronunce negative, è arrivata la decisione che ribalta alcune delle precedenti sentenze: dei 19 ricorrenti (in 18 si erano affiancati, con identiche pretese, a R.B., che ha chiuso la vertenza in sede transattiva), undici hanno sottoscritto accordi nel corso del contenzioso, altri hanno ottenuto ristori sulla base di perizie medico legali e due hanno invece ottenuto la condanna del ministero da parte della Corte di appello di Genova col riconoscimento della sua responsabilità, e con essa un risarcimento di 52mila euro, oltre alle spese legali e peritali.

Una vittoria di fatto limitata a due sole posizioni ancora pendenti, avendo i giudici ritenuto prescritto il diritto degli altri considerato il tempo trascorso dalla scoperta dell’infezione e dell’avvio della causa. Ma non è detta ancora l’ultima parola, i legali stanno infatti valutando il ricorso per Cassazione. Una controversia lunga e tormentata, nel corso della quale i 19 pazienti che hanno sopportato serie conseguenze di natura sanitaria per colpa del sangue infetto sono stati assistiti dall’avvocato Rino Tortorelli della Rete Giustizia per i diritti di Cittadinanzattiva. Oggi, con le nuove leggi che prevedono controlli preventivi, con la tracciabilità dei donatori e delle sacche, il sangue è da ritenersi sicuro ma vent’anni fa il quadro era ben diverso. La causa era stata avviata, alla fine degli anni ‘90, presso il Tribunale della Spezia inizialmente contro l’Asl; solo successivamente era stato chiamato in causa il ministero della Salute in quanto soggetto che avrebbe dovuto vigilare sulla sicurezza del sangue.

Nel 2004 però il Tribunale non entrò nel merito della querelle, dichiarando la competenza funzionale del Tribunale di Genova, cosiddetto foro erariale dello Stato. Quest’ultimo respinse a sua volta la domanda di tutti gli attori, decisione contro la quale era stato proposto appello. Durante il giudizio di secondo grado sono stati richiesti numerosi rinvii per trattative, come previsto dalla legge del 2014 che riconosce la possibilità di versare una somma a titolo transattivo (centomila euro, la cosiddetta equa riparazione) a favore di coloro che avevano in atto un contenzioso con il Ministero quale risarcimento per aver contratto Hcv post trasfusionale. La sentenza dei giudici d’Appello, riformando il verdetto del Tribunale di Genova, ha dichiarato la responsabilità del Ministero, liquidando però solo due richieste ancora pendenti e dichiarando la prescrizione per gli altri. Ma la partita non è chiusa.  

 

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