Duke Ellington Orchestra, quando il jazz è mito

Stasera dal Tuscany Hall parte il tour italiano. "Quasi tutto dal repertorio originale anni 20 e periodi successivi"

di Giovanni Ballerini

La Duke Ellington Orchestra darà il via stasera alle 21 da Firenze al suo attesissimo tour italiano al Tuscany Hall. La storica formazione, che da 88 anni si esibisce in tutto il mondo sotto la guida di tre generazioni della famiglia Ellington, in questa nuova tournée si avvale del talento di 15 elementi, diretti da Charlie Young III. Alle redini del gruppo, dopo il fondatore Edward Kennedy Ellington, in arte Duke, gli successe il figlio, l’ottimo trombettista Mercer Ellington, ma oggi c’è suo nipote Paul Mercer Ellington, che continua a preservare la tradizione musicale del grande pianista e direttore d’orchestra americano considerato uno dei massimi compositori del ‘900. Lo farà anche a Firenze con una serata sospinta da un jazz swingante, con una scaletta variegata con classici, come "It don’t mean thing (If it ain’t got that swing)", "Mood Indigo", "Satin doll", "Caravan" e "In a sentimental mood" e tanti altri successi senza tempo.

Paul, c’è ancora spazio oggi per le orchestre nel jazz?

"Spero di sì. Siamo venuti in Italia e mi auguro che tanta gente venga a vedere lo show. C’è una grande differenza fra l’esperienza diretta in presenza rispetto a qualcosa proposto alla radio o alla tv, che sono comunque ottimi media. Il live è un’altra cosa. Credo sia un’esperienza importante assistere dal vivo a un concerto jazz o di qualsiasi tipo di musica. Ne rimarrai impressionato, ti esalterai e vorrai tornare ancora a vederne altri".

Come ha fatto a tenere viva l’orchestra fino ad oggi?

"Mercer Ellington, che era mio padre e figlio di Duke, è morto quando avevo 17 anni. Ero molto interessato al lavoro con la Duke Ellington Orchestra perché mio padre mi portava spesso con lui in tour e in qualche modo ha sempre fatto parte della mia vita, perciò ho lasciato la scuola e ho cominciato a lavorare con la big band perché il gruppo di musicisti era eccellente e aveva ancora molta voglia di esibirsi. Loro volevano continuare a suonare e io ho cercato in tutti i modi di aiutarli in questo proposito".

In che maniera ha operato? "La prima cosa che ho fatto è stata riprendere i concerti. Poi ho dato un’occhiata al repertorio per condurre il pubblico in un viaggio nella musica di mio nonno, che ha scritto brani dal 1919 a quando è morto nel 1974. Ho preso alcuni pezzi dal primo periodo al Cotton Club, il locale di Harlem in cui nel 1923 mio nonno fondò la sua orchestra, altri brani dagli anni intermedi e dall’ultimo periodo perché proprio in quegli anni scrisse delle hit che tutti amano. Un buon mix che conduce il pubblico in un percorso al centro della storia della musica americana".

Un set con buone vibrazioni? "In questo tour il 99 % è tratto dal repertorio originale degli anni 20 e dei periodi successivi. Ci sono anche omaggi ad altri autori, che vengono riproposti con arrangiamenti che mio padre amava".

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