Morte di Duccio Dini, la lettera dell'amico. "Pena certa e niente sconti"

"Uno dei rom già fuori? Speravamo non fosse vero. Dove è finita la giustizia?"

I funerali di Duccio Dini

I funerali di Duccio Dini

Firenze, 19  agosto 2018 - «Sono un amico di Duccio e della sua famiglia e non posso che meravigliarmi di quanto sia stato deciso». Comincia così la lettera che Daniele scrive all’indomani della scarcerazione di una delle persone coinvolte nell’uccisione di Duccino, così in tanti chiamavano Duccio Dini il ragazzo di 29 anni investito mentre era fermo col suo scooter al semaforo. La scrive di getto, dopo aver parlato con gli stessi familiari, sperando di riuscire a esprimere tutta la rabbia e lo sdegno che ha in sé.

«Sono passati appena 65 giorni da quella brutta giornata e quell’uomo è di nuovo fuori? - scrive - Dopo i primi due arresti, ne sono stati eseguiti altri quattro nell’ambito delle indagini. Misure di custodia cautelare in carcere, disposte dal gip su richiesta della procura fiorentina, nei confronti di uomini di etnia rom accusati di omicidio volontario e oggi vogliono farci credere che non esiste più questo pericolo? Fin dal primo momento tutte le persone vicine a Duccio e alla sua famiglia si sono strette chiedendo a gran voce «Giustizia, pena certa e nessuno sconto». Speravamo, che questa volta, non accadesse quello che accade troppo spesso. Tutti avevamo paura che passato un po’ di tempo e una volta spente le luci sulla vicenda, le persone coinvolte nell’omicidio potessero uscire di carcere. E, purtroppo, è proprio quanto successo in questi giorni. Nessuno di noi voleva crederci, abbiamo sperato fino alla fine non fosse vero. E invece… Ci tengo a precisare che non è questione di etnia e non è questione di colore. Ma solo di giustizia: chi sbaglia, qualunque lingua parli, deve pagare. Esistesse la certezza della pena qualcuno di sicuro ci penserebbe qualche secondo in più prima di mettersi nei guai. Oggi, invece, nessuno ha paura: sanno in un modo o nell’altro di farla franca. Mi chiedo: dove è finita la giustizia? Dove è finito il rispetto verso il prossimo? Finché non sarà garantita la legalità sarà difficile sentirsi al sicuro».

Daniele, come i familiari di Duccio super tifoso della Fiorentina, è straziato. Lui ha lavorato 11 anni nel carcere di Sollicciano «e dentro ci ritrovavamo sempre le stesse persone». «Non doveva andare così» stringe le spalle. Al momento quindi sono sei le persone sottoposte alla misura cautelare. Cinque sono tutt’ora in carcere, quattro con l’accusa di omicidio volontario. Mentre Emin Gani, il macedone di 27 anni che ha beneficiato dell’affievolimento della misura, è accusato solo di aver partecipato alla spedizione punitiva nei confronti del rivale Bajram Rufat. Vicinanza è stata espressa anche dal Comune di Firenze, tramite l’assessore Sara Funaro. «Siamo amareggiati – ha detto -. Questa vicenda dimostra che il sistema penale italiano va rivisto, a partire dall’applicazione delle misure cautelari». L’uomo uscito dal carcere di Sollicciano resterà agli arresti domiciliari, in una casa popolare.

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