Duccio, scarcerato uno dei rom. Adesso è agli arresti domiciliari

E’ accusato di aver partecipato all’inseguimento che finì in tragedia

Duccio Dini, il 29enne ucciso in via Canova da un’auto coinvolta in un inseguimento

Duccio Dini, il 29enne ucciso in via Canova da un’auto coinvolta in un inseguimento

Firenze, 15 agosto 2018 - Ferragosto in famiglia per Emin Gani, uno dei sei rom coinvolti nell’inseguimento che causò, lo scorso 10 giugno, l’incidente di via Canova in cui ha perso la vita il 29enne Duccio Dini.

Il giudice ha infatti accolto l’istanza di scarcerazione, presentata dal suo legale, e ha disposto gli arresti domiciliari per il 27enne di origine macedone. L’altro giorno, ha lasciato Sollicciano ed ha potuto riabbracciare i suoi cari che lo attendevano nella casa popolare di via Accademia del Cimento. Tra le restrizioni fissate dal giudice, quella di non comunicare con nessuno all’esterno del suo nucleo familiare.

Tra i motivi dell’affievolimento della misura cautelare nei confronti di Gani, l’assenza di condanne definitive. E un’accusa di partenza «inferiore» rispetto all’omicidio del giovane scooterista. A Gani, infatti, viene contestato “solo” il tentato omicidio di Bajram Rufat, il parente che scatenò la faida tra famiglie rom culminata nell’inseguimento. Emin Gani era, assieme a Kole Amet, a bordo di un furgone impegnato anch’esso nell’inseguimento a folle velocità. Dovettero fermarsi perché al mezzo si bucò una ruota.

Negata, invece, la scarcerazione di Remzi Amet, il «vecchio», inizialmente arrestato per l’omicidio di Dini: il difensore, Nicola Muncibì, si era appellato alle condizioni di salute dell’uomo, ma il giudice ha risposto che può essere benissimo curato in carcere. Da Remzi scoccò la scintilla dell’inseguimento per punire Rufat.

Tre giorni prima di quella sciagurata domenica di giugno, al Poderaccio, Rufat aveva infatti preso a pugni Remzi, suo suocero, che intendeva fargliela pagare per aver maltrattato la moglie. In risposta all’affronto, venne organizzata una vera e propria spedizione punitiva all’Esselunga.

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, la Opel Zafira grigia di Rufat entrò nel parcheggio intorno a mezzogiorno. Ad attenderlo c’era già la Lancia Lybra rossa alla cui guida vi era il cognato Antonio Mustafa con la sua convivente, che prima chiamò al telefono altri parenti e, subito dopo, iniziò a speronare la Opel Zafira per tentare di bloccarla in attesa dei rinforzi. Nel frattempo dal campo nomadi partirono tre uomini a bordo di una Volvo S60 (alla guida Remzi Mustafa, figlio di Antonio, e passeggeri il nonno Remzi Amet ed il cugino Dehran Mustafa) e due a bordo di un furgone Opel Vivaro (Kole Amet, figlio di Remzi, e Emin Gani) che pochi minuti dopo arrivarono all’Esselunga, dove il guidatore della Zafira, speronato a più riprese dalla Lybra e dal furgone, riuscì a divincolarsi e a fuggire con l’autovettura su via Canova, inseguito a folle velocità dalla Volvo e dalla Lybra. Al semaforo, la derapata, l’incendio. Anche spari di pistola a salve. Ma soprattutto, nella carambola ci finì Duccio, che in sella allo scooter stava aspettando che scattasse il verde.

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